martedì 31 maggio 2022
Senza memoria. Del rapporto tra gli americani e le armi si torna a parlare dopo ogni strage in una scuola, o in altro luogo affollato, perché le faine armate di mitraglia scelgono sempre il pollaio più fitto e inerme. Ma alla fine si ripetono le stesse cose e nulla cambia. Disse tutto nel 2002 Michael Moore con il film «Bowling a Columbine». Oggi rileggiamo i soliti titoli tra l'attonito e l'indignato: «Stop gun» (“Manifesto”, 28/5), «L'America in armi» (“Stampa”, 29/5), «La democrazia del mitragliatore» (Beppe Severgnini sul “Corriere”, 29/5). Troviamo titoli fotocopia come questi: «Kamala: “Basta armi d'assalto”» (“Repubblica”, 30/5) o «Basta stragi» (detto da Biden, “Stampa”, 30/5). Scivolando sul grottesco, Valeria Robecco sul “Giornale” (28/5) informa che alla convention sulle armi in Texas è «vietato entrare armati». E infine spunta l'intervista che vale quanto un saggio di sociologia. Sulla “Repubblica” (28/5) Viola Giannoli dialoga con Gabriele Galimberti, fotografo toscano «vincitore del World Press nel 2021 per il suo “Ameriguns”: una raccolta di ritratti di cittadini americani armati fino ai denti». Titolo dell'intervista: «Sparare è un rito, si impara da piccoli come la bicicletta». Ed ecco alcune frasi sulle armi e gli americani: «C'è una sorta di fanatismo: le amano come oggetti, gli danno lo stesso valore che noi diamo a una tv o a una macchinetta del caffè». «Ritengono che avere un'arma sia un loro diritto, guai a chi glielo tocca». «La maggior parte delle persone con cui ho parlato ha preso in mano una pistola a 6-7 anni. A noi insegnano ad andare in bici, a loro insegnano anche a sparare». «Negli Stati Uniti ci sono più pistole che persone. Alle quaranta che ho fotografato ho chiesto: “E se vi dicessero ora restituitele?”. Mi hanno risposto: “Saremmo pronti a scendere in strada e combattere per tenercele”».
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