L'economia trionfa, la società declina. Nel drammatico caso economico della Grecia, che per ragioni di contabilità pubblica precipita nella paralisi sociale, questo fatto è diventato di un'evidenza che lascia sgomenti. Ma non c'è neppure bisogno di evocare le situazioni più estreme per notare che società, socialità, legami sociali, vitalità e sensibilità sociale sono in crisi. Se l'oggetto interessa sempre meno, anche la scienza che lo studia ne risente. Sentiamo un gran bisogno di ascoltare il parere di economisti e banchieri, mentre i sociologi li dimentichiamo. La sola eccezione sembra Zygmunt Bauman, il che forse vuol dire che una delle scienze sociali che per un secolo ha più attirato la nostra attenzione, si riduce a un solo nome o quasi. Si passa dall'economia alla politologia e alla filosofia saltando lo studio della società nel suo insieme: idee, classi, istituzioni, valori, comportamenti, senso comune, memoria, utopie e prospettive. Sentiamo il bisogno di fare le nostre osservazioni estemporanee su quanto avviene nella vita quotidiana e ne parlano i giornalisti: ma i sociologi sembrano ridotti al ruolo di esperti televisivi di sondaggi. Dopo tre o quattro percentuali siamo già sazi.Approfitto di queste considerazioni per ricordare Charles Wright Mills, uno dei maggiori sociologi della seconda metà del Novecento, critico dell'involuzione tecnicistica e conformistica della propria disciplina negli Stati Uniti. Scomparso prematuramente a quarantacinque anni nel 1962, Wright Mills fu una delle letture più corroboranti negli anni che precedettero il Sessantotto. Criticò la società americana con due libri proverbiali, Colletti bianchi (sulla classe media ) e L'élite del potere (dominante anche nelle democrazie ). Lettore di Balzac, Marx, Freud e Max Weber, cercò di riportare la sociologia alla sua tradizione classica teorizzando nel suo ultimo saggio, L'immaginazione sociologica, una facoltà intellettuale sempre più rara fra gli specialisti di oggi, eppure sempre più preziosa.
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