Il carteggio tra Richard Strauss e Stefan Zweig che Archinto ha pubblicato con il titolo Vuole essere il mio Shakespeare? (a cura di Roberto Di Vanni, pp. 208, euro 18,50) è di interesse non solo letterario e musicologico, ma anche per gli spunti che offre sul ruolo dell'artista nella società. Nel 1931 Strauss (Monaco di Baviera, 1984-1949; nessuna parentela con gli Strauss dei valzer viennesi), dopo i successi di Salomé, Elekra, Il Cavaliere della Rosa, era all'apice della fama. Zweig, di diciassette anni più giovane (Vienna 1881) era un romanziere e biografo affermato e fu lui a offrirsi come librettista a Strauss, che si era avvalso della collaborazione con Hugo von Hoffmannsthal, deceduto nel 1929. Il carteggio, che si sviluppa dal 1931 al 1936, ruota intorno alla creazione della Schweigsame Frau (La donna silenziosa), opera comica che Zweig trasse liberamente da Ben Jonson. Sempre improntate a profonda deferenza («Stimatissimo Dottore», «Stimatissimo Signore»), le lettere diventano via via più cordiali, con Zweig sempre pronto ad accogliere le richieste di Strauss, e con Strauss sempre più entusiasta del «librettista», della cui collaborazione non intende fare a meno neanche in futuro. Ma siamo nei primi anni Trenta e si dà il caso che Zweig sia ebreo. Entrambi, il musicista e lo scrittore, ritengono che il nazismo sia un fenomeno passeggero: Zweig propone di rimandare di un paio d'anni la prima esecuzione della Schweigsame Frau, programmata a Dresda per il 24 giugno 1935. Strauss, che ritiene la propria arte superiore a qualunque regime politico e ha accettato l'incarico (poco più che onorifico) di presidente della Reichsmusikkammer (la commissione governativa per la musica), ha contatti diretti con il ministro Goebbels, e sottopone al ministro e direttamente a Hitler il libretto dell'opera. Il Führer, «eccezionalmente» dà il suo benestare e l'opera va in scena con contrastato successo. Strauss aveva preteso che il nome di Zweig figurasse adeguatamente nella locandina. Da allora, Zweig non vuol più collaborare con il proprio nome e propone a Strauss di assistere anonimamente e gratuitamente altri librettisti, in particolare Joseph Gregor. Ma Strauss non ne vuol sapere, vuole solo Zweig, e il 17 maggio 1935 gli scrive: «Per favore, la smetta una volta per tutte di raccomandarmi un altro poeta!». Si giunge così alla lettera del 17 giugno 1935, in cui Strauss, esasperato dall'«orgoglio di razza» e «dal sentimento di solidarietà» di Zweig, scrive: «Crede davvero che mi sia mai lasciato guidare dal pensiero di essere un germano (forse, qui le sait?) in una qualsiasi delle mie azioni? Crede che Mozart abbia consapevolmente composto da "ariano"? Per me esistono solo due categorie di persone: quelle che hanno talento e quelle che non ne hanno, e per me il popolo esiste solo nel momento in cui diventa pubblico. Che sia costituito da cinesi, bavaresi del Nord, neozelandesi o berlinesi, mi lascia del tutto indifferente, a patto che le persone abbiano pagato alla cassa il biglietto a prezzo intero». Questa lettera non giunse mai nelle mani del destinatario. Intercettata dalla polizia, le frasi riportate, largamente condivisibili, costarono a Strauss le dimissioni forzate dalla presidenza della Reichsmusikkammer. Zweig, che in quegli anni girava il mondo tenendosi a distanza dalla Germania, emigrò in Brasile e il 23 febbraio 1942 si suicidò con la seconda moglie, Lotte. Il curatore italiano del carteggio, nella sua bella e breve prefazione, sostiene che Strauss e Zweig erano accomunati dal sentirsi artisti epigoni, «condizione metabolizzata ed esorcizzata solo da Strauss». In realtà la stagione dell'opera lirica si era irrimediabilmente conclusa il 29 novembre 1924, quando morì Puccini lasciando incompiuta la Turandot.
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