L'arte di raccontare la serietà del gioco. Lezione da Cortázar
mercoledì 15 febbraio 2017
«Ricchi, borghesi e aristocratici adorano i libri che raccontano le vicende della povera gente, perché loro non conoscono quel punto di vista sulla vita e leggerla, al caldo dei focolari accesi nei loro confortevoli salotti, è il modo che hanno per soddisfare una certa curiosità un po' morbosa. Quello è il loro modo di immaginare, in qualche forma di capire, quanto sia difficile e triste viverla, quella vita lì. Viceversa, alla povera gente, piacciono i libri che raccontano di Re, di Regine, di castelli e di cavalieri, di amori romantici. La ragione è la stessa: loro quella vita non la vivono e nei libri trovano, in qualche modo, la possibilità di sognarla».
Pensieri e parole di Julio Cortázar, uno che i racconti li sapeva scrivere, davvero. Questa sua bellissima definizione di che cosa il racconto sia, non si sposa perfettamente anche con una certa romantica idea di sport? La magnitudine di un campione non è forse proporzionale alla sua capacità di farci sognare, anzi di far sognare intere folle? Cortázar è il maestro del racconto, artificio narrativo ben diverso dal romanzo. Perfino il suo capolavoro è un "anti-romanzo": si intitola Rayuela ed è composto da trecento paragrafi che possono essere letti in ordine di apparizione, come tutti i romanzi del mondo, secondo un ordine indicato dall'autore stesso oppure secondo un ordine proprio, definito dal lettore. Una specie di caccia al tesoro, un giro lungo dove l'autore ci prende per mano e ci porta ovunque, facendoci credere, peraltro, di essere coloro che decidono la strada.
Cortázar, sorridendo, ci guarda saltare di casella in casella, proprio come nella rayuela, quel gioco di strada che i bambini italiani chiamano (o chiamavano? chissà se qualcuno ancora ci gioca…) "campana". La nostra versione del gioco è fatta di caselle numerate, mentre i bambini argentini, dimostrando una straordinaria capacità di storytelling tipica del continente sudamericano, chiamano "terra" la prima casella e "cielo" l'ultima. In questo metaforico saltare fra la terra e il cielo Cortázar ha imparato l'arte del racconto anche grazie alla sua passione per lo sport e per uno sport in particolare: la boxe.
Si dice che lo scrittore argentino incominciò la sua carriera di narratore facendo delle radiocronache di eventi pugilistici che spesso non riusciva a portare a termine per via della troppa emozione che quello sport gli trasmetteva. Chissà se proprio intorno a un ring Cortázar avesse allenato la sua abilità all'efficacia narrativa nella distanza breve, metaforicamente compresa nei tre minuti di un round. Amava dire che «un romanzo può vincere ai punti, un racconto deve farlo per knock-out» e sta di fatto che un suo libro molto meno noto, pubblicato nel 1969, si intitola proprio Ultimo round dove Cortázar, ancora una volta, invita il lettore a sottoporsi a un vento laterale che tanto è affascinante quanto dispettoso.
Utilizza, come pretesto, la sua passione per la boxe, per parlare di Rivoluzione cubana, del Maggio francese, della resistenza cilena, della rivoluzione sandinista in Nicaragua, ma anche degli altri suoi grandi amori: i gatti, la letteratura francese, la fisica, la metafisica e le storie di criminali.
Cortázar è stato forse il più grande narratore di personaggi eccentrici, storie di uomini e donne che, pur considerandosi normalissimi, capovolgono le convenzioni sociali, cambiano paradigmi. Li descrive, fulminanti, con la sua tecnica del racconto breve: «Il buon scrittore di racconti - diceva - deve essere un boxeur molto astuto e anche se molti dei suoi colpi iniziali possono sembrare poco efficaci, in realtà stanno già minando le resistenze più solide del suo avversario».
Cortázar se n'è andato un febbraio freddo, a Parigi, trentatré anni fa. Sulla lapide della sua tomba, nel cimitero di Montparnasse, si trovano spesso poesie e manoscritti, qualche bicchiere di vino rosso e foglietti con sopra rayuelas disegnate a mano da nostalgici ammiratori a cui questo maestro ha insegnato che saper giocare è un fatto estremamente serio.
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