Sembra che guardare con attenzione qualcosa e guardarsi intorno siano attività in via di estinzione. I cinque sensi od organi della percezione fisica, sono sempre meno attivi, devastati dalla fretta, dalla distrazione, dall'impazienza prodotte dal culto idolatrico della velocità. L'imperativo è fare prima, non fare bene. Senza usare la vista, il più mentale e intellettuale dei sensi, il mondo intorno a noi, naturale e sociale, sparisce, diventa trascurabile, irrilevante, indifferente, meno reale. Chi non nota l'esistenza dell'ambiente intorno a sé, non si accorgerà neppure del suo degrado. Chi è al volante di un'auto, chi fissa un video o un display, usa una percentuale bassa, bassissima, delle sue possibilità visive. Una volta si diceva che il romanziere è anzitutto un osservatore (Flaubert lo insegnò al suo allievo Maupassant). E Kafka, nei suoi colloqui con l'amico Janouch, disse di non sopportare il cinema: «Forse perché sono troppo visivo. Io vivo con gli occhi, e il cinema mi impedisce di guardare. La velocità dei movimenti e il rapido mutare delle immagini ci costringono continuamente a passare oltre (...) Prima l'occhio era nudo, ora il cinema gli impone una divisa». Siegfried Kracauer la pensava diversamente: teorizzò sul cinema come «ritorno alla realtà fisica». John Berger, che è riuscito a essere, senza contraddizione, giornalista, scrittore, pittore e critico d'arte, nel suo libro Sul guardare (Il Saggiatore) dedica una sezione alla fotografia. Se il cinema corre e ci trascina, la fotografia è ferma, chiede di essere guardata ed è solo il movimento dei nostri occhi che può indagarla. Non meno interessante è la sezione del libro dedicata alla pittura: a Millet, Lowry, Francis Bacon, Courbet, Turner, Magritte... L'arte di guardare percependo e interpretando (che a farlo sia il pittore o il critico d'arte) dà a Berger un evidente, intenso piacere fisico e mentale. È questo che rende eccellente la sua scrittura e appassionante il suo libro.
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