venerdì 6 gennaio 2006
Un aquilone salta volando nello spazio, eccolo nel più profondo cielo. Il bambino trattiene il filo nella mano, ma il suo cuore è là. I loro volti erano fissi lassù, in quell'immenso manto scuro trapuntato di luci, alla ricerca di una stella più luminosa tra le altre: è questa l'immagine che tutti abbiamo disegnato nella nostra fantasia quando pensiamo ai Magi. Qualche giorno fa, all'inizio del nuovo anno, abbiamo parlato di realismo e di lotta alle illusioni. Tuttavia è impossibile vivere senza alzare lo sguardo oltre le cose di ogni giorno e l'orizzonte inquinato del presente. Lo diceva anche un pessimista come il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen: «Strappa all'uomo le illusioni di cui vive, e con lo stesso colpo gli strapperai la felicità». Abbiamo, allora, scelto di affidarci oggi al sogno e alla fantasia dei bambini che sanno alzare gli occhi verso il cielo ove il loro aquilone vaga libero e lieve. Essi sono protesi verso quell'arabesco celeste di colori e di movimento, anche se i loro piedi sono sulla terra e le mani stringono solo uno spago. È ciò che evoca il poeta mistico indiano Tukaram, vissuto quattro secoli fa: trovo le sue parole nel poemetto Cento aquiloni di un professore universitario che scrive spesso testi poetici, Gianni Gasparini (Scheiwiller). Anche Gesù ci esorta a «levare il capo perché la vostra liberazione è vicina» (Luca 21, 28). Abbiamo bisogno di staccare più spesso dagli interessi e dalla quotidianità per metterci in cammino come i Magi, correndo anche qualche rischio, allargando i nostri orizzonti, lasciando spazio al sentimento, alla libertà, alla speranza. Una vita tutta assorbita dal calcolo, dall'egoismo, dal sospetto diventa una prigione. Lasciamo volare il nostro cuore più in alto, «nel più profondo cielo» dello spirito.
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