Come il Genesi all'inizio del racconto del popolo di Dio e della sua creazione, così il XXVII Libro del Nuovo Testamento apre di nuovo la Bibbia. Non voglio fare esegesi, ma compiere una riflessione sull'Apocalisse. Finita la narrazione del Vangelo, degli Atti degli apostoli, dopo il suo ritorno di Gesù in cielo e raccolte le lettere degli Apostoli che hanno fondato la Chiesa, un'inaudita sferzata visionaria “blocca” il flusso degli eventi. Pure ne prosegue, come da un'altra dimensione, che è difficile non definire simbolica (e “simbolo”, dall'etimologia greca, è “ciò che unisce”) la potenza del futuro arcanamente remoto e, con un altro ossimoro, così lontanamente vicino nella fuggitiva concretezza delle immagini, nel trionfo di un Logos che si dà tale solo nei primi versi del Vangelo di Giovanni per liberarsi poi alla molteplicità dei fatti (come nelle parole dei Profeti dell'Antico testamento), pur indicandone un'escatologia misteriosa, a carico dell'uomo e del suo libero arbitrio, ma anche nel mistero della sua certezza. In tempi in cui si parla molto di apocalisse non vi è più grande opportunità di rileggere quella di San Giovanni.
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