La mia generazione non pranzava a scuola. Papà era lì fuori ad aspettare, campanella ore 12.40. Tornavamo a casa con la cartellina in spalla.
La refezione era per i bambini poveri, quasi sempre di giù. I loro occhi tristi per dover restare, quell'odore mesto - l'ho ancora nel naso - di pessimo minestrone.
Oggi che la mensa è per tutti, la battaglia per il «libero panino» mi manda ai pazzi. Autorizzati da una sentenza torinese che ha riconosciuto il diritto - un altro! - all'autonomia nutrizionale, è in aumento il numero di bambini, specie al Nord, che si presenta a scuola con panierino personale.
Segue dibattito. A tavola con gli altri; no, tavoli separati. Comitati «Mensa libera». Le regole igieniche. Le allergie. Le maestre che impazziscono: prova tu a fargli ingurgitare broccoletti mentre la compagna mangia lasagne.
Se qualcosa non va nel cibo di scuola - la qualità, le tariffe, il menu -, si affronti insieme. È proprio questo «insieme» il piatto nutriente. Imparare che «io» vale di meno senza il «noi», e che non sempre puoi avere esattamente quello che va a te.
Il lavoro paziente della mediazione e del confronto. La condivisione, mangiare lo stesso pane dei compagni (cum-panis).
Pessima lezione, quell'ognuno per sé: e che libertà sarebbe? Non sono certo queste le differenze da salvaguardare, mentre altre - fondamentali - sono in via di neutralizzazione. Per favore, buon senso.
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