È vero che il tempo può far danni (un gentleman mi ha dato del "bollito") ma è pur vero che nel calcio aver potuto vedere e vivere tanti eventi è per un cronista una gran ricchezza. Soprattutto se la memoria - proprio come la macchina del tempo - ti riporta a figure e fatti entrati nella storia. E tu c'eri. Io c'ero quando il mitico Helenio Herrera fece diventare l'Inter la Grande Antipatica. Perché vinceva: in Italia, in Europa, nel mondo. E gli davano del catenacciaro, ironizzavano sul suo taca
la bala!, lo chiamavano "Habla Habla" e Accaccone. Succedeva fino a 45 anni fa, Picchi alzava al cielo le Coppe, Angelo Moratti sorrideva come un divo di Hollywood, Nicolò Carosio indirizzava «cin cin» a Lady Erminia che abbracciava
i suoi bravi ragazzi - primi Facchetti e Mazzola - e le folle nerazzurre rispondevano agli invidiosi con misurati «tiè» e con i titoli reboanti della "Gazzetta", de "La Notte", del "Corriere Lombardo". Oggi conta la tv e l'Inter si è dotata del più telegenico degli allenatori, José Mourinho, che nel giro di pochi mesi è riuscito a resuscitare la Grande Antipatica. Ma senza vincere. Dico dell'Europa. Per gli scudetti bastava Roberto Mancini. L'antipatia nazionale suscitata dai nerazzurri non l'ho inventata io, l'ha certificata il signor Mou l'altra sera, uscendo dall'Old Trafford con una sola ferrea convinzione: «Abbiamo fatto contenti gli italiani». Non gli interisti. E se l'ha detto lui, come dubitarne? Non solo: è riuscito a far riavvicinare, all'insegna della solidarietà per le sconfitte subite (di misura) e le frecciate prima indirizzate a Ranieri e Spalletti, juventini e romanisti oggi, bontà loro, convinti che la sconfitta dell'Inter sia diversa da quella della Juve e della Roma. E allora, sarà bene precisare - antipatie a parte - che non ha perso solo lui, Mourinho: han perso tutti. Eroicamente la Roma (con quel Totti guerriero che invece di indossare l'armi del gladiatore ostentava un tutor della mutua) e tuttavia finendo per esaltare i ragazzini di Wenger con il solito rigore tirato alla porta del cielo; amaramente la Juve, arrivando a sfiorare il successo eppoi cancellandolo con errori di campo, prestazioni individuali non all'altezza del confronto e sostituzioni errate. Hanno perso loro, Juve, Inter e Roma, non l'intero calcio italiano, come sento dire adesso da chi cerca un alibi per Mourinho e non vedeva l'ora di gridare alla supremazia tecnica e «culturale» degli inglesi più che mai, al contrario, alla portata delle nostre rappresentanti di Coppa. Ho visto un Chelsea per niente insostenibile, ubbidire alle strategie del vecchio Hiddink che non è un mago produttore di spettacoli ma - se del caso - uno scaltro organizzatore di rapine; ho visto il Manchester giocare forse la sua peggior partita spaventato dai presunti furori interisti, eppoi dichiararsi fortunato. Un Manchester ben diverso da quello che il Milan (quanto ci manca) seppe battere scrivendo nei sacri testi l'ultima sconfitta europea dei Devils; solo l'Arsenal dei wonderboys ha fatto il suo dovere, meritando applausi e ricordando -
mentre Blatter annuncia la fine del mondo - che il calcio possono salvarlo solo i ragazzini del vivaio. Non è un caso,
a questo punto, che si sia ridotti a gridare "forza Udinese", unica italiana rimasta in Coppa (Uefa) simbolo della sana provincia calcistica italiana che non fa chiacchiere e bada al sodo. Speriamo che faccia un altro passo avanti e non ci si debba dichiarare sconfitti su tutta la linea europea, dall'Arsenal allo Zenit.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: