La prospettiva è semplice e drammatica: nel 2030 la domanda di cibo sarà cresciuta del 50% rispetto a oggi, nel 2050 l'aumento arriverà al 100%. Intanto i prezzi degli alimenti non accennano a diminuire e tutti gli osservatori concordano che così sarà per molto tempo. E non basta, perché la produttività dell'agricoltura del mondo sembra essere passata dal 3-4% degli anni Ottanta, all'1-2% attuali. Ci aspettano anni in cui occorrerà produrre di più, ma per farlo servirà mettere a coltura anche nuove terre, sfruttare tecnologie diverse, meno invasive ma più efficaci dal punto di vista produttivo. Soprattutto però, occorrerà molto più denaro di oggi per la crescita dell'agricoltura nelle aree sottosviluppate. Mentre l'attrito fra agricolture "povere" e agricolture "ricche" pare destinato ad acuirsi.
A delineare un quadro di questo genere è stato Lennart Bage, il presidente dell'Ifad (il Fondo Internazionale per lo Sviluppo agricolo) parlando alle Commissioni Esteri e Agricoltura di Camera e Senato.
Ciò che appare come la vera novità, è il fatto che il panorama dei mercati alimentari internazionali è radicalmente cambiato e in brevissimo tempo.
«Negli ultimi vent'anni " ha spiegato Bage " il cibo sul mercato internazionale era stato disponibile e a prezzi ragionevoli, sicché la necessità di continui investimenti in agricoltura ha perso la sua urgenza e ha smesso di ricevere un'attenzione prioritaria da parte dei governi e di altri finanziatori. Ne è risultato un crollo di investimenti nazionali in agricoltura nei Paesi in via di sviluppo». Tutto mentre le agricolture avanzate " europea e statunitense in particolare " facevano passi da gigante provocando altre difficoltà di mercato e di bilancio soprattutto per l'Unione europea.
Di fronte a problemi di questo genere, Bage ha indicato alcune cose da fare. Prima di tutto riuscire a non rincorrere sempre l'emergenza, ma creare le condizioni per garantire sicurezza alimentare a lungo termine. Poi far crescere gli investimenti nella ricerca agricola; e ancora investire nelle dotazioni di infrastrutture locali, come l'irrigazione, le comunicazioni, l'energia e i trasporti. Per l'Ifad, poi, è necessario mettere in condizione i piccoli contadini (che rappresentano circa 450 milioni di aziende) di accedere ai servizi finanziari e di sfruttare le rimesse degli emigrati. Infine, l'Ifad insiste sulla necessità di assicurare a tutti l'accesso ai fattori di produzione (semi e fertilizzanti prima di tutto). Apparentemente tutto semplice, o quasi. Perché il vero problema è che per fare tutto ciò occorrono risorse finanziarie che, invece, diminuiscono troppo velocemente. La percentuale degli aiuti per l'agricoltura nell'Official development assistance (ODA), il totale degli aiuti allo sviluppo, è scesa dal 18% nel 1979 al 2,9% nel 2006. Per soddisfare la domanda di cibo che cresce, occorrerà trovare altre strade ma queste difficilmente ci saranno.
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