Fin da bambina ero certa che i tram di Milano avessero un'anima. Avevano un occhio, il faro lucente, ed erano fedeli: sempre sugli stessi binari, alla stessa ora. Ero convinta ci riconoscessero alla solita fermata, e spalancando le portiere sbuffavano benevolmente, come dicendo: ancora voi? Ma a casa i miei avevano sorriso: "Sciocchezze". Pazienza, mi ero detta, i grandi non capiscono un sacco di cose. E quando, la scorsa primavera, in una notte di lockdown deserta, in via Manzoni ho visto spuntare da piazza Cavour un tram 1, l'occhio del faro lucente che si avvicinava, sono stata certa che da bambina avevo ragione. "Lui" si è fermato, credendo volessi salire, e deluso è ripartito: desolatamente vuoto. Luminoso nella notte muta si è allontanato, mogio.
Perché i tram di Milano sono felici nella calca di Natale, quando il conducente scampanella infuriato; si divertono quando i turisti in fila verso Monte Napoleone li rallentano. I tram di Milano sono come sentinelle o soldati di ronda, e nell'ultimo giro notturno paiono controllare che tutti siano andati a dormire. Poi se ne vanno al deposito, il gemito metallico come un sospiro. I tram di Milano attendono di scampanellare ancora, impazienti, nell'ora di punta. Sperano, nell'anima d'acciaio: tornate a pigiarvi dentro di noi, senza paura. Tornate, noi vi aspettiamo.
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