Tutti, probabilmente, sanno dell'incontro tra Giovanni Paolo II e Ali Agca, nel dicembre del 1983. I più anziani di certo lo ricordano anche. Una delle tante immagini indimenticabili di quel pontificato: il Papa seduto su una sedia, piegato un po' in avanti, a tu per tu, in quella saletta spoglia del carcere romano di Rebibbia, con l'uomo che poco più di due anni e mezzo prima aveva tentato di assassinarlo in piazza S. Pietro. Parlare con lui e, alla fine, benedirlo. “Cose da Papa”, si disse allora; cose da santi, si potrebbe dire oggi. Ma il pregare per chi gli ha fatto o ti sta facendo del male, pregare per il tuo nemico e invocare su di lui la benedizione di Dio è semplicemente una “cosa da cristiani”; è adempiere il mandato di Gesù Cristo: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori». Che certamente, ha detto papa Francesco nell'omelia di lunedì scorso della Messa celebrata in Santa Marta, dedicata proprio a questo tema, è qualcosa di «veramente difficile» da compiere, ma l'esempio di tanti testimoni del secolo scorso insegna che non è così impossibile.
Proprio difficile. «Pensiamo – ha detto il pontefice – ai poveri cristiani russi che per il solo fatto di essere cristiani erano mandati in Siberia a morire di freddo: e loro dovevano pregare per il governante boia che li mandava lì? Ma come mai? E tanti lo hanno fatto: hanno pregato... Pensiamo a Auschwitz e ad altri campi di concentramento: loro dovevano pregare per questo dittatore che voleva la razza pura e ammazzava senza scrupolo, e pregare perché Dio li benedicesse! E tanti lo hanno fatto». Se per questi “tanti” è stato possibile, lo è stato perché hanno seguito l'esempio di Gesù sulla croce che prega per quelli che «lo uccidevano»: «Perdonali, Padre, non sanno cosa fanno». Una «logica difficile», quella di Gesù. C'è un abisso, o quella che il Papa ha chiamato «un'infinita distanza» fra questi modelli e «noi che tante volte non perdoniamo piccole cosine»: «Perdonarsi tra coniugi dopo qualche disputa, o perdonare la suocera, anche: non è facile. Per il figlio, chiedere il perdono al papà, è difficile». Figurarsi allora quanto possa apparire impossibile «perdonare coloro che ti stanno ammazzando, che vogliono farti fuori... Non solo perdonare: pregare per loro, perché Dio li custodisca! Di più: amarli. Soltanto la parola di Gesù può spiegare questo. Io non riesco ad andare oltre». Quello che allora bisogna imparare, nella consapevolezza di quanto sia umanamente difficile seguire il modello «perfetto» di Dio e del suo amore «universale», è che quella di saper «benedire i nostri nemici» di pregare per loro, di perdonarli, è una «grazia» da chiedere continuamente a Dio. Si tratta, del resto, di quanto diciamo ogni giorno recitando il Padre Nostro, quando chiediamo perdono promettendo di perdonare a nostra volta. «È una condizione – ha spiegato papa Francesco – anche se non facile», evidenzia il Papa. È una grazia anche «capire qualcosa di questo mistero cristiano ed essere perfetti come il Padre che tutti i suoi beni dà ai buoni e ai cattivi». Ed è questo che può fare la differenza nelle nostre vite concrete, la differenza decisiva. «Ci farà bene, oggi, pensare a un nemico – credo che tutti noi ne abbiamo qualcuno – uno che ci ha fatto del male o che ci vuole fare del male o che cerca di fare del male. La preghiera mafiosa è: “Me la pagherai”. La preghiera cristiana è: “Signore, dagli la tua benedizione e insegnami ad amarlo”. Pensiamo a lui. Preghiamo per lui. Chiediamo al Signore di darci la grazia di amarlo».
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