«America is back». Oppure no. Sulla nuova Nato e su Biden, i quotidiani italiani esprimono pareri divergenti. Inconciliabili. Ha ragione Andrea Bonanni ("Repubblica", 16/6) quando scrive: «Tutto è cambiato, cambiato completamente», oppure Lucio Caracciolo ("Stampa", 16/6): «Il Biden reale, non quello retorico, non è poi così lontano da Trump»? Nella stessa sinistra le voci sono dissonanti. Il titolo del "Fatto" (15/6): «Nato, Biden salda gli alleati per la nuova guerra fredda» è tutto l'opposto di quanto scrive Anna Maria Merlo del "Manifesto" (15/6): «Gli europei non hanno mostrato eccessivo entusiasmo a seguire gli Usa in una "nuova guerra fredda"». E non sono i soli a evocare una "guerra fredda", certo diversa dal passato, ma altrettanto insidiosa. Rosalba Castelletti ("Repubblica", 15/6) intervista Dmitrij Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center: «La situazione della sicurezza ora è più pericolosa rispetto a qualsiasi momento durante l'ultimo quanto di secolo della Guerra Fredda». La evoca, pur senza nominarla, pure Paolo Lepri sul "Corriere" (15/6): «La Nato serve ancora e servirà nel futuro. Né più né meno come è accaduto in un recente passato che non è passato del tutto».
La voce più dissonante è senza dubbio quella di Caracciolo, che in prima pagina esordisce così: «La traduzione a senso di "America is back", lo slogan con cui Biden si è presentato al vertice Nato, è per noi italiani "Mamma America è tornata". Errore. Il sottotesto americano suona: "Sulle cose che contano noi decidiamo, voi applicate. Per il resto imparate a cavarvela da soli. Non facciamo chirurgia ordinaria, solo salvavita". In termini pratici, il messaggio per noi è secco: la matassa libico-mediterranea è affare per italiani e altri europei». Fuori dal coro Caracciolo, e ancor più Augusto Minzolini, nuovo direttore del "Giornale" (16/6). Nel presentarsi, ribadisce il motto del quotidiano: «Dal 1974 contro il coro». Non fuori, proprio contro. Infatti: in prima pagina, di Nato e G7 nulla.
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