Dopo l'insediamento ufficiale a Parma dell'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare, si torna a parlare del destino di quella nazionale. Un "ritorno" che ripropone in tutta la sua importanza il tema dell'analisi degli alimenti, della loro sicurezza, della cosiddetta sanità pubblica alimentare che ha anche più di un risvolto economico. Intanto, la produzione agroalimentare di casa nostra, continua il suo faticoso cammino per conquistare spazi di mercato. E, da questo punto di vista, continua la sequenza di dati e informazioni spesso contraddittorie. A partire dalla situazione della zootecnia.
La corsa per avere la sede della Agenzia Nazionale per la Sicurezza Alimentare parte da molto lontano. In lizza almeno tre città: Torino, Verona e la stessa Parma - che hanno tutte ottime credenziali per pensare di ottenere questo risultato. Il percorso appare ancora lungo. Se da una parte, infatti, le regole europee impongono ad ogni Stato membro di fornire un interlocutore unico all'Agenzia sovranazionale, dall'altra, per l'Italia, la creazione di un' entità nuova - come dovrebbe essere una vera e propria Agenzia - richiede una legge il cui testo non è ancora stato scritto. Detto questo, i bene informati fanno rilevare che, in effetti, il nostro Paese avrebbe già un interlocutore unico nel Comitato per la Sicurezza Alimentare. Certo, una struttura diversa potrebbe accrescere l'efficacia degli strumenti e dei controlli. Insomma, tutti sembra siano d'accordo sulla necessità di avere una struttura vera per assicurare la sicurezza alimentare in Italia. Tempi, modalità, scelte, localizzazioni e risorse - invece - sono ancora tutti elementi da decidere.
Nel frattempo, sulla qualità e sulla sicurezza degli alimenti si basano molte delle strategie settoriali per recuperare quote di mercato. Con risultati diversi. Basta pensare alla situazione nella quale versa la zootecnia italiana dopo gli anni di intenso lavoro svolto proprio sul fronte della qualità. Nino Andena, attuale presidente dell'Associazione Italiana Allevatori, non ha avuto difficoltà questa settimana a denunciare che «sono almeno tre anni che i prezzi continuano a scendere e che, in particolare, ad oggi non c'è un prezzo del latte alla stalla». Per l'AIA la situazione è chiara: non esiste una corretta redistribuzione del valore aggiunto e non esiste un'adeguata remunerazione dei prodotti. Basti pensare che adesso il latte viene offerto mediamente ad un prezzo alla stalla (0,32 centesimi per litro) inferiore a quello di dieci anni fa (0,39 centesimi). Senza contare altri comparti come quello suinicolo, in cui un chilo di carne viene pagato al produttore meno di un euro quando produrlo costa 1,39. Questo nonostante le migliaia di controlli e le centinaia di azioni di promozione e di valorizzazione. Insomma, sembra davvero arrivata l'ora di ricominciare tutto daccapo. Magari proprio da una Agenzia per la sicurezza che sia davvero tale.
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