Oramai, mi nascondo quando devo mangiare; mi siedo, in una locanda, come un Pantagruel a un tavolo fuorimano; apro un ombrello, anche se non piove, se mi gusto un panino camminando. Il mangiare, che in altri giorni socializzava, ora può scatenare una lite e il cibo si ferma sullo stomaco con vari sintomi e disturbi dispeptici. Non si sa mai in chi ci si può imbattere. L'interlocutore può essere carnivoro, etilista, astemio, vegetariano, vegano o crudista. Un pranzo in santa pace è quasi impossibile. Ognuno deve aver letto decine di libri sull'alimentazione ed è quasi più facile sgominare il caveau di una banca che non giungere al caffè senza belligeranza. In altri tempi, avrebbero detto «fastidi grassi, l'importante è avere qualcosa da mettere sotto i denti» ma oramai il lancio della cultura gastronomica è avvenuto e indietro non si torna. Sarebbe difficile spiegare tutto ciò agli amici di Madre Teresa di Calcutta o a quanti neppure hanno l'acqua da bere. Ricordo quando le famiglie cavavano il vino dalla damigiana in cantina e si faceva la marmellata di fichi e la salsa di pomodori. Ora comprando i frutti, ignoriamo se la pianta sia un rampicante o ad alto fusto e da una coscia di pollo è difficile risalire al numero dei suoi arti e chissà se è un mammifero o un vegetale.
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