Nel 2009 sono nate più imprese agricole che industriali. Il dato " emerso recentemente dalle elaborazioni Infocamere " è importante ma deve essere analizzato con attenzione: più imprese nuove non significa necessariamente uno stato di eccellente salute economica per il settore. Certamente, però, le indicazioni di Infocamere segnalano il ruolo ancora una volta anticiclico dell'agricoltura rispetto al resto dell'economia: mentre altre categorie di imprese chiudono, quelle agricole «aprono». Nel primo semestre di quest'anno sono quindi nate 18.863 imprese in agricoltura contro le 15.556 dell'industria. «Numeri dai quali emerge " ha sottolineato la Coldiretti " la capacità di crescita e innovazione del settore che sta attraversando una fase di profondo cambiamento grazie all'ampliamento del campo di attività dalla semplice coltivazione ed allevamento a quella di trasformazione e vendita, ma di cura dell'ambiente, didattiche, ricreative e sociali». Numeri che, occorre notarlo, hanno dietro di loro la chiusura di molte imprese marginali e che " ed è il dato negativo " cercano di far quadrare i conti di un comparto alle prese con una forte deflazione all'origine (-16%) oltre che con diffusi problemi strutturali, di mercato e di crescita dei costi di produzione. L'analisi di Infocamere, quindi, deve essere controbilanciata dal diffuso malessere che nelle campagne è ormai palese e che, proprio in queste ultime settimane, ha avuto manifestazioni fortissime in tutta Italia.
Problemi non di oggi e che si possono toccare con mano guardando all'andamento degli investimenti negli ultimi anni. Secondo l'Istat, nel 2008, il settore agricolo ha registrato una flessione del 4,3% degli investimenti fissi lordi, confermando la tendenza negativa dei 24 mesi precedenti (-4,7% nel 2007 e -1,2% nel 2006). Un andamento, quello dell'agricoltura, peggiore di quello medio, che ha fatto segnare una diminuzione pari al 3% in termini reali, seppur migliore di quello industriale (-5,5%). E c'è da pensare che quest'anno la situazione non sarà migliore vista la forbice dei prezzi alla produzione e al consumo. Basta guardare alle quotazioni della zootecnia, scese solo nell'ultimo mese del 4,9% per i suini, del 5,8 per i bovini e del 14,7% per i prodotti caseari. In altri termini, il numero di imprese classificate come agricole indubbiamente cresce, ed è un buon segno di dinamicità, soprattutto pensando che molte nuove aziende agiscono in comparti relativamente più favorevoli come quelli legati all'agriturismo, all'ambiente e al territorio, ai prodotti biologici e tipici. Dall'altra però, aziende vecchie e nuove, se attive nei settori tradizionali dell'agricoltura, affrontano problemi comuni in termini di mercati che non crescono, prezzi sempre più bassi, una concorrenza agguerrita e in alcuni casi scorretta. È dall'equilibrio fra questi vari aspetti dell'agroalimentare che deve essere individuata la strada migliore per far uscire dalla crisi anche i campi italiani.
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