«Solo coloro che possiedono una forte individualità possono sentire la Differenza». Victor Segalen, viaggiatore francese, scrive queste parole all'inizio del Novecento, in un saggio sull'Esotismo. Che, sottolinea, non ha nulla a che vedere con i suoi orpelli: palme, cammelli, il casco coloniale (ai suoi giorni), paradisi artificiali da agenzie turistiche (ai nostri). L'esotismo è una disposizione d'animo, e consiste nel provare ebbrezza di fronte a ciò che è differente. Chi ha una forte personalità non solo non teme, ma gradisce l'incontro con il diverso, prova dell'unicità di ogni uomo. Chi lo paventa, arroccandosi orgogliosamente negli usi e costumi della sua tribù, manifesta una personalità debole. L'incontro è quindi una iniezione di vitalità, un'apertura di orizzonte. E, come sottolinea Segalen, l'esotismo non è solo nello spazio (paesi, civiltà, usi e costumi), ma anche nel tempo: ci consente di comprendere azioni, comportamenti e realtà di età passate, prossime o remote. Sono d'accordo, viva il sano (non posticcio) esotismo, con una integrazione che ritengo indispensabile: l'incontro con l'altro ci provoca il brivido della differenza, benvenuta. Ma in ogni differenza non ci sfugga mai l'affinità, la comune sostanza umana. Le culture differiscono, non l'anima dell'uomo.
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