Sono al salone del libro di Torino, in largo anticipo per la mia tavola rotonda ed allora mi infilo nella designata sala rossa, dove ascolto la presentazione in corso. Devo dire che, già attraversando il padiglione di pertinenza, avevo incontrato autori che, per via di qualche diatriba con la mafia, sono seguiti da uno stuolo di guardie del corpo. Penso che con tutte queste forze assoldate, si potrebbe vincere forse persino la guerra del deserto dei Tartari di buzzatiana memoria. Considero anche il fatto che papa Francesco gira con la sua macchinetta senza tante storie. Ma torniamo in sala. Di turno questa volta è la camorra. C'è il ministro della Giustizia, ossequiente, l'ex procuratore Caselli, così incanutito da ricordarmi il russo corvo bianco Eltsin, e l'autore del libro. Non ricordo il titolo del testo, l'autore però non sopporta, e sembra stia litigando con la moglie, chi ritiene che la causa della camorra sia antropologica. Gli danno ragione e lui se la dà da solo. Il problema, se non sbaglio, sta nel saper non entrare nelle relazioni costruite dalla malavita. Che sia dunque un problema di bon ton? Nessuno si domanda se tali relazioni non siano per caso, anziché una leggerezza o furbizia, semplicemente coatte. Allora sarebbe, per la vicenda, un altro paio di maniche.
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