Marguerite Yourcenar raccontava che un suo amico, che era stato soldato nella Guerra d'Indocina, una volta le confidò: «Mi sentirei più vicino a Gesù se fosse stato fucilato anziché crocifisso». La scrittrice si mise allora a riscrivere il racconto della Pasqua per mostrare come noi siamo chiamati a vedere al di là delle forme che ogni evento assume, per scoprire l'essenziale che si nasconde dietro le accidentalità del passato. Al centro della Passione di Gesù c'è una domanda: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Sembra un paradosso, una contraddizione totale: come può il Messia vivere l'abbandono di Dio? È precisamente in questo scandaloso paradosso che percepiamo come tutto, nella vita di Gesù, accade affinché noi possiamo riconoscere la sua solidarietà con la nostra vita. Non c'è alcun dolore umano, nessuno, che non trovi espressione nei dolori del Cristo crocifisso. Non c'è solitudine umana, né silenzio, sconvolgimento, persecuzione, violenza o tortura che non possa essere accostata all'intensissima sofferenza che Gesù provò. Per questo, quando attraversiamo l'abbandono del tempo, sappiamo che Lui è con noi. I bracci della croce sono l'abbraccio di Dio alla nostra umanità. L'abbraccio che ci mancava.
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