Se di Paolo Villaggio ogni tanto si legge ancora e qualcuno se lo ricorda, non mi pare che accada lo stesso per due suoi formidabili contemporanei, che certamente egli amò: i Blues Brothers, protagonisti di pochi indimenticabili film giustamente definiti “demenziali”. Il loro nome va però associato a quello del regista che meglio seppe valorizzarli, in un film che prese il nome da loro, o forse fu quel film a battezzarli, diretto da John Landis nel 1980. I Blues Brothers raccontava le eroiche e demenziali avventure di due fratelli per salvare dalla chiusura un orfanotrofio retto da una ostinata religiosa, interpretata da Kathleen Freeman, deliziosa caratterista di mezza età che comparve come ironica e pacata “spalla” in tanti film di Jerry Lewis. Il Mereghetti gli dette quattro stelle, e se le meritava. Anche per le prodezze tecniche (uno degli inseguimenti in auto più forsennato di tutta la storia del cinema) ma soprattutto per l'arte furibonda di John
Belushi (che morì poco tempo dopo, a 32 anni e nel pieno del suo trionfo) e del suo socio Dan Aykroyd. Impassibili di fronte a ogni accadimento, rigorosamente vestiti in neri abiti borghesi, incredibilmente acrobatici. Sì, The Blues Brothers resta e resterà come uno dei più belli tra tutti i film comici e musicali mai realizzati, ma anche di quello la memoria sembra scomparsa, e del loro regista, quel John Landis cui dobbiamo anche, in cinema, Un lupo mannaro americano a Londra, Una poltrona per due (un “classico” della commedia, con Aykroyd ora in coppia con Eddie Murphy), Tutto in una notte e dei corti tuttavia musicali, il più celebre tra tutti realizzato nella breve stagione del video juke-box, Thriller, che fu la cosa migliore fatta in immagini da Michael Jackson. Horror e musical: l'accostamento prediletto da John Landis. Che seppe per un breve e felice periodo coniugare talento e successo, popolarità e satira sociale, dinamismo della regia e sfrenata allegria,in una vitale mescolanza tra i “generi” canonici della storia del cinema americano. Il suo episodio di Ai confini della realtà (un film nato da una grande trasmissione tv, di quando la tv ancora osava) fu una lucida parabola sul razzismo, così come Una poltrona per due lo era stata delle diseguaglianze sociali e del crescente dominio di Wall Street sulla vita americana e non solo: economia e gangsterismo più che mai vicini.
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