Il 25 aprile di 100 anni fa nacque Jean Valenti, che nel 1965 con tre amici fondò l’Associazione Italiana Sommelier (Ais). Invece Paolo Desana, che oggi di anni ne avrebbe 105, l’anno dopo fu il relatore in Parlamento della legge che istituiva le Doc dei vini in Italia. Due vite legate alle sorti del vino italiano, ma accomunate dall’esperienza del lager. Jean Valenti rimase due anni a Tambov, giacché venne arruolato di forza dalla milizie fasciste per la campagna di Russia, mentre Paolo Desana, raccontato dal figlio Andrea nel libro “La storia di due vite, dal lager ai vini Doc” finì in Polonia e in Germania e con un gruppo di prigionieri osò scioperare contro i lavori forzati (fatto forse unico nella storia della prigionia). Per questo fu condannato a morte, costretto a scavarsi la fossa salvo poi essere imprigionato in una sorta di loculo. Tornarono a casa entrambi, dopo aver visto la morte più di una volta: feriti, umiliati, ma sempre capaci di porre la vita nell’alveo della speranza che a tratti, leggendo le loro biografie (“Jean Valenti, memorie di un vecchio sommelier”) trova nei diversi percorsi la Provvidenza. Ora, se il 25 aprile ogni anno riapre ferite, non v’è dubbio che questa sia la nostra storia di cui va conservata memoria. Andrea Desana racconta che il padre non parlò mai di quegli anni, se non alla fine della sua vita, e così Jean Valenti consegnò al nipote Francesco la ricostruzione di una vita, quasi come una liberazione interiore. Anche i miei genitori, coevi di questi personaggi, hanno vissuto la guerra, ma mai ne parlarono in casa, quasi a preservarci da un passato che ha visto la divisione di un popolo, l’orrore, la morte, la distruzione. Eppure serve anche questo per capire chi siamo e da dove arriviamo. E se il frutto di tutta quella sofferenza è stato un fiorire di opere, nel caso specifico legato al mondo del vino, vien da chiedersi quale sia la spinta ideale che avranno le nuove generazioni, quelle che hanno vissuto la Pandemia, che l'Oms fra poco dovrebbe dichiarare finita. Ma non ci sarà alcun 25 aprile: solo strascichi di polemiche che talvolta offendono la memoria di chi non c’è più. E la gratitudine d’esserci, nonostante tutto, chi ce la insegna? Jean Valenti, quando fondò l’Ais, diceva ai suoi allievi: «In questo mestiere più importante di comandare è servire». Potrebbe essere l’incipit della politica, ma anche del giornalismo nostrano: servire la pace, non le divisioni; servire un’idea di futuro, non le beghe ideologiche che alla fine lasciano indifferenti proprio i soggetti che vivranno il futuro.
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