mercoledì 20 gennaio 2021
Ho sempre ammirato Irene Brin (1914-1969) con le sue cronache mondane mai futili, sempre ironiche, inattaccabili, vanamente imitate dalle varie Camille Cederna, Natalie Aspesi, Gianne Preda, Line Sotis, nessuna come lei ironicamente colta, osservatrice infallibile di gusti e disgusti, inflessibile in materia di bon ton (gli asparagi si colgono dal piatto con le apposite pinzette) e alla fine sempre divertente. Sellerio ha ripubblicato negli anni Ottanta e Novanta parecchi suoi libri, tuttora in commercio, Usi e costumi, Il dizionario del successo e dell'insuccesso e dei luoghi comuni, Cose viste e altri, comprese un paio di sue biografie, che conservo su uno scaffale dedicato. L'altr'anno, Archinto ha pubblicato di Irene Brin Piccoli sogni di vestiti e d'amore. Scritti sul cinema 1939-1946 (pagine 280, euro 24,00). Le cronache cinematografiche di Irene Brin sono un po' come le recensioni televisive di Achille Campanile: per il grande comico, la trasmissione televisiva era solo un pretesto per raccontini e calembour divertentissimi. Brin è diligente, spiega le trame dei film, tratteggia gli interpreti, ma si capisce che non è tutta in quello che scrive. Quei film, poi! Titoli dimenticabili e dimenticati, con preferenze briniane per La corona di ferro, vincitore della Coppa Mussolini al miglior film italiano alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia 1941, con un cast di tutto rispetto: «L'iperborea grazia di Elisa Cegani, il fuoco nero e lucente di Luisa Ferida, le intonazioni shakespeariane di Cervi, la spiritosa forza di Valenti e l'acrobatica freschezza di Girotti non hanno bisogno di lodi». Soprattutto perché il film era firmato da Alessandro Blasetti, regista prediletto da Irene Brin in ogni suo lavoro, compresa La cena delle beffe, un film «assolutamente ammirevole». Molti dei film recensiti erano interpretati dalla coppia Osvaldo Valenti e Luisa Ferida: dovevano essere davvero due grandi attori che finirono in tragedia, entrambi fucilati dai partigiani nel 1945 per collaborazionismo fascista. Valenti effettivamente ebbe ruoli nella Repubblica di Salò, mentre la colpa di Luisa Ferida era di essere stata sempre accanto al suo uomo. Nel dopoguerra fu riabilitata, tanto che a sua madre fu concessa la pensione di guerra. Isa Miranda, fra le attrici, è favorita da Irene Brin, anche per la sua cortesia: interpellata per un certo referendum, «mi rispose con prontezza, con intelligenza; con una carta da lettera incredibile devo anche dire, violetta e fregiata dall'enorme firma in caratteri d'argento, fermissimi». Sulla firma di Isa Miranda posso testimoniare anch'io: sull'albo dei visitatori della Villa Pliniana di Torno, dove Mario Soldati girò il fogazzariano Malombra, ho visto la firma davvero cubitale della protagonista, Isa Miranda. Le cronache cinematografiche di Irene Brin si fermano al 1946. Come lascia intuire Tommaso Mozzati, autore della pertinente e nitidissima prefazione, l'incipiente neorealismo trovò impreparata Irene Brin, cantatrice di un mondo brillante e largamente incosciente, già irrimediabilmente perento.
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