Sempre testardamente dissacranti, certi cantautori. Prendete Gino Paoli, e la sua lunga scelta di cantare il viaggio di una vita vissuta con piglio burbero e sornione, aggressivo e intransigente, senza bandiere e senza regole. «Io vado con scarpe e con piedi, io vado con occhi e con mani, io vado con bocca e con canto, io vado con l'anima… E con questa faccia mia che ha visto già tutto quanto… Io vado con treno e con auto, con abitudine… Io vado con barca e con vento, con solitudine… Io vado con alcol, con rabbia… Io vado al diavolo!!! Con questa mia faccia di ieri, di sempre e di mai...». Poi, d'improvviso, Io vado con l'anima canta però anche l'ultimo tratto del viaggio: la vecchiaia che non si dice, la morte che troppi hanno paura a cantare. E lo fa nello struggimento di intuire quanto torneremo vicini, nell'attimo del commiato, alla verità di noi stessi che da bambini, in fondo, avevamo già colto. «Arriverò che sarà tardi, mi fermerò in riva al mare… con un bambino per la mano, camminerò sempre più piano… E sarà dolce stare insieme, e sarà dolce e sarà amaro… E poi sarà sempre più chiaro, con la sua mano nella mia mano… con la sua anima». Già. Sempre testardamente commoventi, certi cantautori: almeno, i grandi.
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