Caro Avvenire, sono un affezionato lettore e un socio convinto dell'Airc, l'Associazione per la ricerca sul cancro. Da tempo mi sto chiedendo, forse ingenuamente, quando i fumatori - ne incontro tanti anch'io - abbandoneranno le sigarette? Si sa che il fumo è in calo, ma io coltivo il sogno di una società senza sigarette. Chiedo che cosa si sta facendo per eliminare le cause del problema, cioè convertire - per evitare licenziamenti - la produzione del tabacco in altri prodotti e colture.
Angelo Pinna
Azzano San Paolo (Bg)
Caro Pinna, non possiamo non partire da alcune cifre. Leggo sul sito del ministero della Salute:
«In Italia si stima che siano attribuibili al fumo di tabacco oltre 93.000 morti (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne) con costi diretti e indiretti pari a oltre 26 miliardi di euro. Per quanto riguarda i tumori, il tabacco è il fattore di rischio con maggiore impatto a cui sono riconducibili almeno 43.000 decessi annui».
Mi sembrano dati agghiaccianti - oserei dire quasi esagerati, di primo acchito - e che meriterebbero la costante, insonne attenzione e mobilitazione di chiunque possa dare un contributo all’emergenza, perché tale si tratta alla luce di questi numeri. Vero: calano i fumatori. Ma restano il 24% della popolazione; tre giovani su dieci consumano sigarette tradizionali, tabacco riscaldato o sigaretti elettroniche.
Non sono mai stato un fumatore, anche se in qualche serata estiva di vacanza mi concedo mezzo sigaro. Non che la cosa sia abbia alcun interesse in sé. Lo dico per sottolineare la complessità del discorso sul tabacco
e altre sostanze “ricreative”, che spesso sono un fenomeno articolato che va oltre la “razionalità” delle scelte (so che fa male, dovrei evitare del tutto...), che lei chiama in causa nella sua preziosa lettera, caro Pinna.
A un convegno scientifico sulle dipendenze, m’ero sorpreso della sigaretta accesa dalla responsabile di un progetto contro i comportamenti d’abuso. «Tutti abbiamo le nostre piccole o grandi dipendenze - mi spiegò con convinzione -, impossibile (e sbagliato) sradicarle tutte».
Come lei sa, il governo conservatore uscente britannico ha proposto una legge per vietare il fumo ai giovani. Il proibizionismo può aiutare ma non è detto che sia risolutivo - i risultati di quello sugli alcolici a inizio ventesimo secolo negli Usa ce lo insegna. Possono fare di più l’informazione e l’educazione. Che hanno due limiti nel caso del tabacco.
Non si vede chiaramente il legame causale tra sigaretta e danni alla salute, perché avviene progressivamente sul lungo periodo. E il piacere insito nel fumare resta un forte stimolo. Le immagini di polmoni devastati dal cancro sui pacchetti non scoraggiano chi pensa che morire si debba comunque e tanto vale godersi qualche momento di allentamento della tensione con una boccata di tabacco e una sigaretta tra le dita. Il prezzo resta altissimo, lo sanno vedove e orfani. Perciò non dobbiamo rassegnarci a queste dinamiche, pur profondamente umane e radicate.
Si tratta di una considerazione che faccio con amarezza e realismo. Infatti, mentre si combatteva il fumo, cresceva la piaga del gioco d’azzardo e oggi si affaccia il fentanyl, potente antidolorifico che negli Usa ha soppiantato molte droghe e ha una mortalità altissima.
In conclusione, caro Pinna, rilanciamo con la massima intensità lo sforzo per frenare il tabagismo. Il vero problema non riguarda i posti di lavoro - sono semmai le aziende produttrici che per anni hanno fatto pubblicità martellante e invasiva, a volte inquinando pure la scienza con ricerche fasulle comprate a proprio favore. Anche “Avvenire” cercherà di fare la sua parte, glielo assicuro.
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