Un segnale importante che ridà fiato ai mercati e, soprattutto, a quei Paesi già in difficoltà per gli approvvigionamenti. Un segnale, certo, tutto da verificare, ma che potrebbe risolvere uno dei grandi problemi che la guerra Russia-Ucraina ha generato. L'intesa, annunciata dal ministro della Difesa turco Hulusi Akar, circa lo sblocco delle partenze di navi cariche di frano dai porti dell'Ucraina consente a questo Paese di tornare ad esportare il 95% del grano via mare e di svuotare i magazzini dove si stima la presenza di oltre 20 milioni di tonnellate di cereali destinati a rifornire sia nei Paesi ricchi che in quelli più poveri dove la chiusura degli scali rischia di provocare rivolte e carestie. La valutazione è di Coldiretti, ma è comune un po' a tutti gli osservatori del mercato agroalimentare. La partenza dei convogli dai porti, tra l'altro, darebbe modo di liberare spazio nei magazzini che così sarebbero pronti ad accogliere i nuovi raccolti di grano che seppur in calo del 40% circa, non troverebbero altrimenti collocazione. Quanto si sta delineando, offre l'occasione per un punto sugli effetti alimentari del conflitto. Stando ad una analisi del Centro Studi Divulga, la guerra coinvolgerebbe gli scambi di oltre un quarto del grano mondiale. Ucraina e Russia, controllano insieme circa il 28% del mercato ma anche il 16% sugli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) per l'alimentazione degli animali negli allevamenti e ben il 65% sugli scambi di olio di girasole (10 milioni di tonnellate). Per questo, nelle scorse settimane il fermo alle esportazioni da questi paesi, oltre che le previsioni di scarsi raccolti, avevano fatto salire i prezzi dei cereali a livello mondiale (tra il 20 e il 30% a seconda dei mercati e dei giorni), oltre che delineato una prospettiva di forti carenze alimentari per molti paesi. Senza dire dell'innesco di operazioni speculative che hanno visto sostituire, per esempio, il grano e gli altri cereali ai metalli preziosi. Un'emergenza mondiale che ha toccato anche l'Italia (importa addirittura il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais di cui ha bisogno per l'alimentazione del bestiame). È necessario, tuttavia, fare attenzione. L'accordo delineato in queste ore non risolve tutto ma pone una pezza – seppur importante –, a una situazione che resta comunque delicata e complessa. Per questo, rimangono valide tutte la richiesta degli agricoltori: tornare ad investire in agricoltura anche nell'era della digitalizzazione.
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