
L’ultimo libro dell’Antico Testamento, il piccolo libro del profeta Malachia, si chiude su una polemica. Per bocca di questo profeta, peraltro poco conosciuto, Dio si lamenta che il culto viene trascurato e giudicato inutile: evidentemente, non è da oggi che la gente non ha più tempo, o voglia, di andare in chiesa! «A cosa serve andare al Tempio?», si dice facendo spallucce. Al che, Dio risponde dicendo: «Provate, e vedrete». E promette un’abbondanza tale che «felici vi diranno tutte le genti, perché sarete una terra di delizie, dice il Signore degli eserciti» (Ml 3,12).
Sarebbe un errore vedere in questo una contrattazione – culto in cambio di ricompensa divina. In primo luogo, perché tutti i nostri culti nulla aggiungono alla gioia perfetta di Dio: noi non possiamo dargli nulla che lui già non abbia. Se ci invita al culto, non è per lui, ma proprio per noi. E poi, perché la nostra ricompensa, quella che ci farà apparire felici agli occhi del mondo intero, non è altro che l’intimità con Dio, la vita vissuta nella compagnia di Dio. Infelici coloro che, in questa vita, si annoiano nella prossimità di Dio: rischiano di languire per tutta l’eternità!
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