Insicuri (ma la luce c’è)
martedì 21 maggio 2024
Cosa significa veramente l’atto di credere? Soprattutto, di credere in Dio? Un gesto fideistico, che è all’opposto della ragione? Oppure una dimensione particolare della ragione umana? Benedetto XVI aveva coniato un’espressione - «allargare gli spazi della ragione» - che rimandava al detto pascaliano «il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce». Jon Fosse, scrittore norvegese, ultimo vincitore del Premio Nobel per la letteratura, nel suo romanzo Melancholia I-II (La Nave di Teseo) descrive a un certo punto la scena di un personaggio, Vidme, il quale, in un momento di dubbio religioso, si rivolge e incontra un prete (donna) della Chiesa Norvegese. Ecco il punto che a noi interessa in particolare, questa indagine letteraria sull’atto del credere: «E Vidme ha difficoltà a capire come uno possa essere tanto sicuro del fatto suo, come lo sono i preti della Chiesa Norvegese, perché credere significa proprio non essere sicuri, significa essere insicuri, significa stare in uno stato di stupore, dove uno vede aperture verso una luce, dove uno vede qualcosa che non capisce. E uno stupore, e una luce, che non si capiscono. E lì si trova Vidme. E lì Vidme non ci vuole stare». Dove vogliamo stare noi, nella sicurezza di chi non si fa più domande o nell’insicurezza di chi, nello stupore, vede una luce? © riproduzione riservata
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