La notizia della «morte di caldo e di fatica» di Mohamed, bracciante sudanese di 47 anni, mentre raccoglieva pomodori nel Salento, tra Nardò e Avetrana, è l'unica che ha scosso negli ultimi giorni l'informazione religiosa digitale, per il rimanente pronta, come il resto della comunicazione, a calarsi nella tipicamente rarefatta atmosfera mediatica agostana. Se ne è parlato nel 10% dei post che ho potuto leggere, mentre gli indici di popolarità (meglio: di indignazione) decollavano tanto sul sito e sulle pagine social di "Avvenire", che vi ha dedicato cronache e commenti, quanto su quelle di "Famiglia Cristiana". E poi c'è il caso dell'Huffington Post Italia" (http://tinyurl.com/nkhqnqq), dove Mauro Leonardi, blogger «prete e scrittore», ha riscosso 20.000 "mi piace", più altri 3.500 sulla pagina Facebook, e una quantità proporzionata di condivisioni. Le sue poche, intense righe, culminavano nella proposta di condividere il lutto per questa morte praticando una giornata di digiuno dai pomodori. Ci si è indignati perché questo bracciante è un "povero Cristo": come l'uomo ridotto in fin di vita dai briganti sulla strada per Gerico, e senza che un samaritano arrivasse a soccorrerlo in tempo. Mi ha dato conforto questa indignazione, che francamente ho condiviso. Anche se l'hanno accompagnata le solite voci contrarie, che minimizzano, relativizzano, banalizzano. E qualora in certe redazioni si fosse anche amplificata la notizia per calcolo commerciale (in estate non si sa mai cosa scrivere) o politico, rimane sacrosanto quel che don Leonardi ha commentato in un successivo post sul suo blog (http://tinyurl.com/pcrrme2): «Scriviamolo tutti che se un uomo muore in un campo dove lavorava dall'alba con una paga da fame per sfamare se stesso e una famiglia ostaggio di guerre e fame dall'altra parte del mare, quell'uomo ha diritto almeno a un articolo dove viene chiamato con il nome che gli spetta: uomo».
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