La notizia del giorno, nel mondo ecclesiale digitale (e non), è la prossima canonizzazione di madre Teresa di Calcutta, accolta con un consenso senza riserve e, direi, senza confini, né geografici, né religiosi. Ma la parola che più mi ha interpellato, pensando alla trifora Chiesa-informazione-Rete dalla quale mi affaccio qui, è quella che il Papa ha pronunciato all'interno del messaggio per la Giornata mondiale della pace, dedicato quest'anno al tema «Vinci l'indifferenza». C'è infatti un passaggio, ben messo a fuoco su "Vatican Insider" da Francesco Peloso (http://tinyurl.com/nreqyph), che secondo me dovrebbe fare il giro della WikiChiesa: «Purtroppo dobbiamo constatare che l'aumento delle informazioni, proprio del nostro tempo, non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da un'apertura delle coscienze in senso solidale». Avessimo ancora dubbi sull'intonazione critica di queste parole, basti dire che il Papa le riassume sotto il concetto di «assuefazione»: uno dei «volti» della «indifferenza nei confronti del prossimo».Voglio provare ad approfondire questo monito, avendo anch'io in mente parole non dissimili, e direttamente puntate sull'ambiente digitale, della Laudato si'. E domando: non sarà che non tocca solo «ai media», ma a ognuno di noi, divenuti tutti generatori di contenuti, quindi produttori e diffusori di notizie, contrastare tale assuefazione (sul nostro profilo Facebook, sul nostro blog, su Whatsapp o su YouTube)? E non sarà che per farlo il metodo è quello di gridare un po' più piano, o magari sussurrare, le cose che contano meno, in modo che, quando sono in ballo cose che contano di più, siano meglio visibili e udibili? Immaginiamo che un papà abbia ricevuto qualche giorno fa da una figlia immagini inquietanti della Parigi militarizzata di un mese fa, e che le abbia giustamente condivise su qualche social, insieme alla sua preoccupazione: come distinguerle dalle anticipazioni sull'ultimo Star Wars o dal gol di Badu alla Sampdoria?
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