Solamente in Sicilia vivono e lavorano in agricoltura circa 25mila persone costrette ad un regime di «schiavitù». A dichiararlo è stata la Cgil siciliana. Si tratta di un dato che deve fare pensare, anche perché si accosta ad altre indicazioni, questa volta tutto sommato positive, sullo stato della nostra agricoltura che fanno capire bene quanto questo settore viva situazioni contraddittorie e quanto, soprattutto, occorre ancora fare per arrivare ad una condizione normale del lavoro nei campi.In Sicilia ' sicuramente una delle culle del buon agroalimentare Made in Italy ' si valuta dunque la presenza di circa 25mila lavoratori del comparto agroalimentare che vivono in condizione di schiavitù; mentre tra i tra i 5 e i 7mila sarebbero gli schiavisti, che direttamente o attraverso «caporali», gestirebbero una vera e propria tratta di esseri umani. Numeri e fatti sono stati esposti nel corso della presentazione di un incontro che dice tutto a partire dal titolo: «Spezziamo le catene degli schiavisti in agricoltura». E in altre regioni la situazione probabilmente non è migliore. Già, proprio così. Nel XXI secolo, in uno dei comparti dell'economia che più fanno parlare positivamente di sé, quella stessa agricoltura che riesce ad ottenere successi davvero mondiali, sembra esista ancora il lavoro-schiavo. Una cosa irreale, se il sindacato non avesse accompagnato le denuncia con altri dati. Mediamente, per esempio, negli ultimi 15 anni in Sicilia non sono state dichiarate all'Inps almeno 170 milioni di giornate lavorative. Un atto non solo illegale, ma anche pesantemente dannoso sotto il profilo economico. Accanto a tutto questo, sempre negli stessi giorni sono circolate altre notizie di segno totalmente opposto. Stando alle rilevazioni Istat più recenti, infatti, i consumi alimentari al dettaglio sarebbero cresciuti da un anno all'altro del 2,4%. Un dato confortante, soprattutto tenendo conto che, per esempio, a crescere in maniera notevole sono particolari prodotti ' come le carni di pollo ' che in precedenza avevano sofferto di crisi di consumo notevoli. Certo, il panorama dei mercati agricoli non è ancora tutto positivo. Basta pensare che i prodotti ortofrutticoli hanno visto scendere gli acquisti del 7,5% circa, con punte del 10%& per gli ortaggi. Tutto senza contare che la cosiddetta forbice fra prezzi al dettaglio e prezzi all'azienda non si è certo ridotta. Insomma, sul fronte dei mercati agricoli molta strada deve ancora essere compiuta, pur se qualche passo è stato fatto.Contraddizioni, dunque. E pesanti contraddizioni seppur tutto sommato con cause ben precise che sono riferibili alla grande eterogeneità del settore agricolo, condizionato dalla sua storia, dalle condizioni fisiche e sociali di produzione. Contraddizioni, tuttavia, che devono far pensare bene a quanto occorra ancora lavorare per dare più forte slancio al nostro agroalimentare. Quello «buono», s'intende, quello che non schiavizza ma valorizza le risorse naturali, il lavoro, la capacità imprenditoriale.
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