In Rete dobbiamo rispondere alle domande sulla fede
venerdì 17 agosto 2018
Secondo la società ComScore, entro il 2020 (cioè, fra pochissimo) la metà delle ricerche digitali sarà vocale. Complice il crescente successo degli assistenti vocali come Alexa, Google Home, Siri, Cortana e simili, e complice la pigrizia degli utenti che preferiscono dettare una ricerca invece di inserirla in maniera testuale in un motore di ricerca, sta radicalmente cambiando anche il modo con cui cerchiamo le informazioni.
Alla normale sequenza di alcuni termini (ad esempio, "quanta vernice dipingere parete") vanno affiancandosi vere domande (passatemi la definizione) "di senso", tipo: "quanta vernice mi serve per dipingere una parete di 20mq?".
Quella che può apparire una mera curiosità nasconde una vera rivoluzione. Infatti, più le persone useranno gli assistenti vocali e più si rivolgeranno a loro non solo in maniera colloquiale ma anche facendo loro domande sempre più complesse, pur nella loro semplicità. Alcuni faranno richieste sempre più precise (ad esempio, "trovami la puntata del Commissario Montalbano dove lui viene ferito"), altri invece saranno sempre più vaghi, proprio come accade anche nelle conversazioni. E come molti fanno già ora, chiederanno al loro assistente vocale: "quali sono le ultime notizie?". Già, ma in un mare di notizie e di media che le offrono dove andrà a pescarle il nostro assistente digitale?
Per essere ancora più chiari: quale voce privilegerà? Se crediamo che i motori di ricerca cerchino di soddisfare il più possibile i loro utilizzatori, avranno un gran bel da fare a imparare e a accontentare i "gusti" di tutti i componenti di una famiglia, fornendo a ognuno la testata di informazione più interessante per lui. Un lavoro che per ora appare lontano. Infatti, al momento, la maggior parte degli assistenti vocali, in mancanza di istruzioni molto precise ("dammi le ultime notizie Ansa") ha scelto la strada più semplice, offrendo le notizie dei canali pubblici e di quelli più famosi.
Fin qui le notizie. Ma cosa accadrà quando le persone inizieranno a chiedere ai loro assistenti vocali cose del tipo: "perché dovrei credere in Dio?" o "come si fa a confessarsi?". Al momento, la risposta degli assistenti vocali è "politicamente corretta": "Mi spiace, non sono abbastanza esperto per rispondere". Non passerà molto tempo che anche domande simili troveranno risposte digitali, più o meno esaurienti e più o meno corrette. Sta a noi cattolici, a noi Chiesa decidere se e come rispondere. Vi basti sapere che, come ha raccontato su Avvenire Silvia Guzzetti, in Inghilterra la Chiesa anglicana ha stretto accordi con Amazon, proprietario dell'assistente vocale Alexa (che ha già quasi la maggioranza del mercato), per rispondere a domande morali, spirituali e religiose con una "voce ufficiale".
Da noi invece se si digita in maniera testuale su Google "perché dovrei credere in Dio", il primo risultato è un articolo del sito dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti intitolato "Perché mi riesce impossibile credere nell'esistenza di Dio". Un perfetto esempio che ci dimostra cosa accade se decidiamo di non rispondere a una domanda diretta: gli altri rispondono per noi, magari – come in questo caso – con parole e ragioni di segno opposto al nostro.
Insomma, se non vogliamo perdere il dialogo con le persone, abbiamo davanti un'altra sfida davvero grande: dare una risposta cristiana alle domande digitali (anche a quelle che riteniamo più banali) delle persone comuni. Lo so: è un lavoro enorme. Ma va fatto. Da tutti e a tutti i livelli. Perché l'alternativa a breve non sarà che gli utenti si ritroveranno davanti a rispose digitali "politicamente corrette", ma molto probabilmente a riposte che non ci piaceranno, per quello che dicono e per come lo dicono.
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