giovedì 2 aprile 2020
Leggo che a Torino l'anziana madre di quattro figli, grazie a un'infermiera, ha potuto salutarli almeno al telefono, e ha detto: «Adesso muoio in pace». A Mediglia invece, in una casa di riposo lombarda dove metà dei 150 ospiti sono deceduti, con gli altri se ne è andata Gilda, 87 anni, milanese, madre di dodici figli. È morta sola. Come si poteva aspettare una tale morte, la madre di tanti bambini? Quanti ne aveva partoriti, allattati, cullati, guidati nei primi passi esitanti. Quanti ne aveva curati, nei febbroni e nel morbillo, nelle notti insonni: allungando la mano sulle loro fronti, in un gesto materno e antico. Ma Gilda, sola: è partita senza nessuno accanto, se non infermiere impotenti tra troppi agonizzanti, nel panico di una morte che accerchiava sempre più da vicino l'istituto. Gilda, che era nata nel 1933, generazione dei figli della Lupa, che era bambina sotto le bombe, e sposa nel Dopoguerra. (Quanta speranza, per mettere al mondo tanti figli mentre Milano ancora era in rovina). E che sbalordimento, povera donna, nel vedersi la morte d'improvviso davanti, e nessun volto caro. Umanamente così ingiusto, che le migliaia di carezze date a quei figli non ne abbiano, nell'ora estrema, restituita neanche una. Roba da arrabbiarsi con Dio, da litigare davanti a un Crocefisso, come faceva don Camillo. Ma quella povera donna, figura dell'abbandono, non sembra forse compagna di Cristo, nell'Orto degli Ulivi, quando chiedeva Padre: "Perché mi hai abbandonato?" Io sono certa però, Gilda, che tu ritroverai tutti i tuoi figli, un giorno, e li abbraccerai, uno per uno. Senza questa speranza, in verità non so nemmeno come si possano avere dei bambini, destinati, infine, al nulla. Al nulla, o invece a un'altra, inimmaginabile vita? È la domanda che in molti oggi, anche lontani, nel lutto si stanno ponendo forse per la prima volta.
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