Ero vicino a Chieti, ieri, a ricordare con amici Peppino Prisco. Peccato aver dovuto parlare dell'Inter, e delle sue Coppe dei Campioni solo al passato, da Helenio Herrera a Josè Mourinho. A malincuore - dico dei nostalgici nerazzurri - tenevano piuttosto banco il Napoli e la Juve. Già: gli azzurri di Sarri a Madrid per il Real, più avanti la Juve col Porto. «Cosa faremo?»- mi si chiedeva, aggiungendo, con una lacrimuccia alla Oddo - «non giocano mica contro il Pescara». Poi uno ha aggiunto, con un sussulto d'orgoglio campanilistico: «Ci vorrebbe Di Matteo... Guardi, a pochi chilometri di qua c'è Paglieta, il suo paese...». Amarcord. È una delle pagine più belle della Champions League e del calcio italiano, anche se il bravo Roberto la vinse con il Chelsea: ebbi la soddisfazione, da antico catenacciaro, di vedere all'opera una squadra inglese costruita “all'italiana” come oggi i Blues di Conte. Era il 24 marzo del 2012 e agli ottavi c'era il Gotha del pallone continentale. L'italianuzzo cresciuto in Svizzera era snobbato da tutti, e cominciò facendo fuori un Napoli già ambizioso per un 3 a 1 all'andata che franò prendendo quattro gol al ritorno; fuori anche il Benfica arriva il Barcellona di Pep Guardiola e tutti dicono «è finita», e invece 1-1 all'andata e un 2-2 al Camp Nou in una magica notte che non dimenticherò mai. Mancava che si dicesse, di Di Matteo, «ma come si permette?», ed ecco il Bayern di Monaco, bastonato a casa sua. Miracolo? La fantastica sequenza dice no, dice sublime saggezza tattica che sconvolge i qualunquisti di tutto il mondo. Bene: a volte una storia del passato (non lontanissimo) vale più di mille considerazioni tecnico-tattiche, tipo quelle che mi ha suggerito il mio amico Fabio Capello che del Real sa tutto: l'ha visto giocare nelle ultime settimane e l'ha ancora sulla pelle per averlo sedotto e forzatamente abbandonato perchè i suoi blancos erano troppo italianizzati; insomma, una Champions vinta col sistema Di Matteo l'avrebbero schifata. E mentre io penso che il pericolo per il Napoli è un Real guidato da Zidane, uno che ha studiato in Italia e saprebbe bene come metterci sotto, Fabio rassicura: «Non può farlo, non glielo perdonerebbero, deve giocare all'attacco; gli piacerebbe una difesa a tre ma dovrà giocare a quattro». A Sarri non è neanche il caso di dirglielo, il suo “Napoli Armonia” ormai può solo giocare come sa, e oggi è la più bella e divertente squadra d'Europa. Quando toccherà alla Juve, col Porto, non credo che Allegri sciorinerà la sua fantasiosa prima linea di tutti i punteros, si ricorderà di essere italiano. E passerà. Scende in campo anche la Roma contro il Villarreal: emozioni limitate, nella Capitale l'Europa League conta meno della Coppa Italia, nella quale almeno ci sarà davanti la Lazio e un forte desiderio di (sportiva) vendetta.
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