In Italia negli ultimi 10 anni sono state chiuse quasi 500mila aziende agricole. Il numero fa impressione e deve essere preso con grande cautela oltre che interpretato, ma indica chiaramente non solo la portata della crisi del comparto, ma soprattutto il livello di ristrutturazione al quale è stato ed è sottoposto. L'agricoltura italiana 10 anni fa era totalmente diversa da quella di oggi e quella di oggi sarà ancora più diversa di quella che osserveremo fra meno di 10 anni. Tante, infatti, sono le sollecitazioni " di mercato e tecniche " alle quali il settore è sottoposto. E non tutte sono necessariamente negative.
Rimane però il "peso" del numero. Che deve fare riflettere tenendo conto che moltissime unità produttive classificate come aziende dall'Istat sono in realtà appezzamenti o poco più, destinati comunque ad essere assorbiti da altre imprese oppure a scomparire. Il fatto è " come ha sottolineato la Cia-Confederazione italiana agricoltori " che 40-50mila aziende all'anno, seppur microscopiche, che scompaiono hanno riflessi pesanti sull'occupazione e, in qualche modo, anche sull'ambiente di vaste aree dello Stivale. Una situazione che si capisce meglio guardando ad alcuni dati come la flessione degli investimenti, la scarsa percentuale delle imprese condotte da giovani (solo 112mila secondo la Cia), la crescita dei costi e la diminuzione della produzione oltre che del valore aggiunto del comparto.
Eppure l'agricoltura conta ancora molto per l'economia del Paese. E non solo in termini produttivi e di approvvigionamento alimentare. Basta pensare che fra titolari, dipendenti, familiari e lavoratori stagionali (di cui una certa significativa parte è data da extracomunitari), il settore dà lavoro a oltre quattro milioni di persone. Anche questo è un numero che deve far pensare e che non può essere trascurato. Così come non possono essere trascurare la qualità delle produzioni agroalimentari nazionali (copiate in tutto il mondo), e la capacità degli agricoltori di intraprendere battaglie per davvero a tutto campo pur di difendere le loro aziende (l'ultima, quella sulle etichette alimentari, parrebbe adesso vinta dopo anni). Una capacità che a volte raggiunge livelli inaspettati come lo "sciopero dell'aranciata" di questo fine settimana al quale la Coldiretti ha aderito insieme alle organizzazione dei consumatori: l' astensione dagli acquisti di aranciata che, in Italia, può essere prodotta anche solo con il 12% di succo d'arancia. Uno scandalo per gli agricoltori, che con questa iniziativa vogliono arrivare a cambiare la legge che regolamenta la produzione per veder pagate le arance nazionali più degli attuali 10 centesimi al chilo.
È da questo quadro a tinte forti e contraddittorie che occorre partire per riprendere in mano le sorti dei campi e delle stalle nazionali. Non si tratta di un'impresa impossibile, anche se è certamente un percorso arduo quello che occorre intraprendere.
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