Non so se per un caso, o per una nostalgia inconscia, siamo finiti ad abitare nel medesimo quartiere in cui viveva mio padre, da vecchio. Lui è morto ormai da molti anni. Io ce l'ho sempre nel cuore. Talmente vicino che fra me dialogo con lui. E credo di sapere, anche, cosa mi risponderebbe.
Ma una mattina di maggio, in via Pier della Francesca, ho alzato gli occhi e ho visto, a forse venti metri da me, di spalle, uno identico a lui. Con la sua giacca color cammello che gli cadeva, sbilenca, sulla sinistra; il collo tarchiato, e i pochi capelli grigi spettinati sulla testa; ma, soprattutto, con la sua andatura a passi larghi, da popolano al mercato. Per un istante mi si è fermato il cuore, e mi sono bloccata sul marciapiede. Ben sapendo: è impossibile. Eppure, spinta da un'assurda speranza, ho ripreso a camminare, veloce, inseguendo lo sconosciuto. Quanto sei sciocca, mi diceva una parte di me. Ma un'altra me accelerava, affannata. All'angolo di via Procaccini l'uomo ha traversato. È passato un tram, che me lo ha nascosto. Un attimo dopo, sparito. Sarà entrato in un portone, stupida, mi sono detta. Ma che colpo al cuore, quella giacca un po' sbilenca, quel passo. Come se fosse possibile. Come se, in un'ora di straordinario permesso, lui fosse venuto a sfiorarmi, in una fugace carezza.
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