A Napoli si parla, in queste ore, non solo del meraviglioso Napule che domina il campionato e della partita di Champions che stasera impegnerà gli azzurri a Manchester contro il City (e io eviterei accuratamente di trattare Sarri da allievo di Guardiola, l'azzurrelum è un modulo molto più divertente del tikitaka); tiene banco anche la splendida avventura di due ragazzi napoletani che hanno incendiato l'Oktober Fest: Immobile ha messo in ginocchio la Juve, Insigne ha fatto piangere la Roma. Lorenzo ha lavorato per sè, per Sarri che lo ha reinventato e per il suo Napoli; Ciro si è battuto per la Lazietta che sta diventando sempre più grande, per Simone Inzaghi che lo ha ampiamente riabilitato: entrambi dedicano le vittorie agli amori famigliari, disegnando cuori in diretta tivù, e a Gian Piero Ventura perché gli preservi un ruolo in Nazionale; e ancora, con signorilità, tengono nascosta nel cuore la rabbia contro quelli che li hanno ignorati per anni mentre esternano gratitudine per Mastro Zeman, colui che ha creduto in loro facendoli diventare campioni, insieme a Verratti, nella dolce Pescara di D'Annunzio, il poeta che inventò lo scudetto tricolore. Insigne il Boemo lo ha avuto prima a Foggia, in C, poi lo ha voluto in Abruzzo per la conquista della Serie A visto che al Napoli non interessava; e non dimentico che il ragazzo di Frattamaggiore (4-6-91) oggi osannato dai tifosi fu deriso e spernacchiato ai primi tempi di Benitez che poi gli trovò un posto “in staffetta” con Mertens: capirete anche da questo dettaglio il valore dell'idea di Sarri che dei due ha fatto la forza della squadra. Eppure, al confronto la storia di Ciro Immobile è una vera Odissea Napoletana: lui è di Torre Annunziata (20-2-90) ma è cresciuto juventino di fatto fra i giovani bianconeri, poi è passato al Siena, al Grosseto, finalmente al Pescara di Zeman dove i 28 gol non sono bastati a farlo grande, sicché ha ripreso il viaggio fra Genova, Torino, Dortmund, Siviglia, ancora Torino e infine Lazio. Chi ha creduto in lui, facendolo almeno sopravvivere fra un club e l'altro. Il figlio di Moggi, suo manager, che di volta in volta lo ha sottratto al linciaggio dei critici, finché Inzaghi non l'ha “immaginato” e Tare lo ha acquistato. Metterei in fila dietro alla lavagna - e col berretto dell'asino in testa - molti tecnici, ma soprattutto quei leader del mercato che importano costose bufale da mezzo mondo e non muovono un dito per due ragazzi napoletani che hanno piedi magici, il calcio in testa e un cuore grande cosí.
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