Mi chiedo perché ci sono cose che perfino fra cristiani non ci diciamo quasi mai. La morte, per esempio, normalmente non si nomina, e se si nomina l'altro volentieri cambia discorso. Ma: «Per me il vivere è Cristo, e il morire un guadagno», scriveva Paolo ai Filippesi. E dunque? Per molti invece la morte è una parola indicibile, è lapide in un cimitero, è tomba per sempre.
Si respira questo nulla, mi pare, anche nell'ansia ossessiva con cui alcuni si proteggono dal Covid, come vedessero nell'altro solo un pericolo di contagio. In un cieco attaccamento alla propria personale salute non c'è qualcosa di grifagno? Come una mano, che avvinghia ciò che sfugge.
Eppure, quando un santo muore è il suo dies natalis, il giorno della nascita, quella vera. Ma, quanto ci crediamo? E quanto, nel pensare che la morte veramente è il giorno natale, la nostra vita cambierebbe, e ci sarebbe più lieve.
La vita "oltre", un tabù. Se ne tace, forse temendo di sembrare sciocchi ingenui. "Chissà..", dicono alcuni, sorridendo come si sorride di oroscopi, o di vani sogni.
Eppure ci è stato promesso: «Nella casa del Padre mio c'è molto spazio…». E al buon ladrone: «Oggi sarai con me in Paradiso». Un ladro. Dunque, magari anche noi. Ci importa, o ci interessa solo il qui e ora? L'audacia, nell'anno 2021, è parlare ancora di Paradiso.
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