FabrizioMastrofini
Una vita di «integrità morale», che è stata «di esempio per tutta la comunità religiosa e non solo. Mi piace ricordare il suo grande coraggio». Così padre Giuseppe Pusceddu, superiore provinciale della Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione parla di fratel Emanuele Stablum (1895-1950), religioso (non sacerdote), consacrato e primo medico della congregazione. Le virtù eroiche sono state riconosciute il 24 aprile, primo passo per la causa di canonizzazione. «Tra il 1943 e il 1944 – ricorda padre Pusceddu – fratel Emanuele aprì le porte dell'Ospedale Idi ai perseguitati, salvando dalla deportazione oltre 100 persone tra i quali 52 ebrei. Li nascose nell'ospedale vestendoli da frati o ricoverandoli come malati». Proprio per questo gesto eroico lo stato di Israele lo ha dichiarato «Giusto tra le Nazioni» e ne conserva la memoria allo Yad Vashem di Gerusalemme. Nel suo operare Stablum «era capace di unire fede e professionalità, impegno nella vita religiosa e nel servizio medico con uno sguardo sempre attento ai confratelli, agli ammalati e ai suoi collaboratori».
Dal punto di vista medico, fratel Emanuele ha «il merito di aver tradotto in opere le conoscenze che aveva acquisito attraverso i suoi studi, nello specifico dermatologici, attraverso lo stile con cui le viveva, condividendole con i giovani medici che operavano in équipe con lui. Fu precursore nella ricerca clinico-scientifica applicata al paziente». Ebbe l'intuizione «di creare una rivista scientifica, (Cronache dell'Idi, poi Chronica Dermatologica), per oltre vent'anni il riferimento nella dermatologia, e successivamente rivista ufficiale dell'Associazione dermatologi ospedalieri italiani (Adoi). Aggiunge padre Pusceddu che «fratel Emanuele ci lascia un'eredità ricca di esempi, di motivazioni, di buone pratiche per una professione medica che mette naturalmente a contatto non solo con la pelle delle persone ma anche con i loro sentimenti più profondi. Per tutti, pazienti o terapeuti, l'esempio di Stablum è un invito a non fermarsi a quello che si vede, mantenendo salda la centralità della persona in ogni situazione, a maggior ragione quand'è fragile. Come ci ricorda ogni giorno papa Francesco».
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