Certo non poteva immaginare, quando gli fu pubblicato il primo articolo, a 13 anni, un racconto scientifico sul tema "Come ho scoperto la pietra filosofale", scritto per un concorso aperto ai liceali di Romania, che la ricerca di tutta la sua esistenza lo avrebbe condotto sui percorsi che toccano materia e spirito, anima e corpo nell'uomo di ogni tempo e latitudine.
Parliamo di Mircea Eliade, il grande storico delle religioni nato a Bucarest il 13 marzo 1907. Appena ventenne ebbe un apprendistato di tre anni in India per poi tornare in patria, imporsi prima come scrittore e poi come docente di filosofia e storia delle religioni, disciplina che avrebbe insegnato dal 1945 alla Sorbona a Parigi e in tante altre università europee per finire nel 1957 a Chicago, ove sarebbe rimasto fino alla morte avvenuta nel 1986.
Per Eliade la storia delle religioni non è una disciplina minore, un'ancella della filosofia o delle scienze umane, perché investe ciò che è umano per eccellenza, vale a dire il rapporto dell'uomo con il sacro. Ecco cosa scrive nel suo Diario nel 1959: «Se è vero che Marx ha analizzato e smascherato l'inconscio sociale e che Freud ha fatto lo stesso per l'inconscio personale, se quindi è vero che psicanalisi e marxismo ci insegnano il modo di passare al di là delle sovrastrutture per arrivare alle cause e alle motivazioni vere, in tal caso la storia delle religioni avrebbe lo stesso fine: identificare la presenza del trascendente nell'esperienza umana, isolare all'interno della massa enorme dell'inconscio ciò che è transconscio, smascherare la presenza del trascendente e del sovrastorico nella vita di ogni giorno».
A lui si deve anche una svolta nello studio del mito: non si tratta di una favola, ma di un racconto che ha origine da un evento vero, un episodio verificatosi ai primordi, e che permane nella memoria e nella tradizione. Il suo modo di vedere emerge in tutta la sua chiarezza in un libro-intervista con Claude-Henri Rocquet edito da Jaca Book nel 1979 col titolo emblematico La prova del labirinto. Lo stesso studioso romeno chiarisce il suo intento: «Il mio sforzo è sempre stato quello di capire coloro che credono in qualcosa: lo sciamano o lo yogi, o l'aborigeno australiano, al pari di un grande santo, un Meister Eckhart, un Francesco d'Assisi». Per questo non poteva condividere l'approccio dell'antropologo Claude Lévi-Strauss, il suo strutturalismo che gli impediva di cogliere il significato originario di un fenomeno sacro e di interpretarne la storia.
Nel suo sforzo ermeneutico, Eliade analizza con severità anche le crudeltà di cui civiltà e religioni sono state capaci e spesso le mette in rapporto con fenomeni contemporanei. Come quando rileva che per gli Aztechi il sacrificio umano aveva un senso preciso: il sangue delle vittime alimentava e fortificava il dio-sole. Non dissimile l'attitudine delle Ss naziste, per le quali l'annientamento di milioni di uomini nei campi di sterminio aveva un senso escatologico: credevano di rappresentare il Bene contro il Male.
E lo stesso fenomeno si ripropone con i gulag e l'ideologia comunista: essa si trova davanti nemici che costituiscono un ostacolo per il trionfo del Bene e li vuole eliminare. Quello che inquieta Eliade è «il terrore della storia: l'esperienza di un uomo che non è più religioso, che non ha quindi più alcuna speranza di trovare un significato ultimo al dramma storico e che deve subire i crimini della storia senza capirne il senso. Un israelita prigioniero a Babilonia soffriva enormemente, ma questa sofferenza aveva un senso».
Con il pensiero rivolto al futuro, lo storico delle religioni deve decifrare il camuffamento del sacro nel mondo desacralizzato in cui oggi siamo immersi. Parole severe ma non prive di speranza sono riservate al cristianesimo e alla Chiesa cattolica in particolare, in quegli anni ancora immersa in rivolgimenti e polemiche. Egli prende atto della crisi («non solo crisi di autorità, ma delle antiche strutture, liturgiche e teologiche») ma non ne prevede la fine: «Mi pare debba trattarsi di una crisi creativa e che, dopo prove e controversie, certe cose più interessanti, più vive, più significative potranno venire alla luce».
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