Uno dei più grandi psicologi del XX secolo, l’austriaco di origini ebraiche Viktor Frankl, ha lasciato un’immensa opera, che ha modificato il nostro modo di considerare la relazione tra spiritualità e psicologia. Amico di Paolo VI, che volle incontrarlo, Frankl ha lasciato tra l'altro uno scritto autobiografico, nel quale racconta il suo periodo nei campi di concentramento nazisti e di come fosse riuscito a salvarsi perché reclutato come medico. Sul retro di ritagli di carta straccia, riuscì a scrivere le note che divennero poi il suo insegnamento: la logoterapia, cioè la cura psicologica attraverso la parola e l’ascolto.
Durante il periodo vissuto nei campi – da cui poi nascerà l’opera dal titolo Uno psicologo nei Lager – visse momenti durissimi e uno dei motivi per cui riuscì a sopravvivere fu il ricordo della moglie. Le sue parole vibrano di un’esperienza intensissima quando afferma nel mezzo della prigionia: «Di tanto in tanto guardo il cielo, dove impallidiscono le stelle, o là, dove comincia l’alba, dietro una scura cortina di nubi: ma il mio spirito è ora tutto preso dalla figura che si racchiude nella mia fantasia straordinariamente accesa, e della quale non ho mai avuto sentore prima, nella vita normale. Parlo con mia moglie. La sento rispondere, la vedo sorridere dolcemente, vedo il suo sguardo, e – corporeo o meno – il suo sguardo brilla più del sole che si leva in questo momento».
Non sarebbe minimamente rispettoso associare la sua esperienza con quella del nostro confinamento, ma a rimanere immutata è la forza della memoria. Ora che si ha più tempo, la memoria vaga nei ricordi, scava nei reconditi meandri degli archivi dell'esistenza di ciascuno. Gli eventi e gli avvenimenti, così come le persone e le cose, assumono nuovi toni, vengono in superficie forse per la prima volta e possono così essere riconsiderati. Infatti, se c’è qualcosa da deplorare nella velocità del mondo contemporaneo, è il fatto che non si abbia tempo di lasciar sedimentare le esperienze per poterle poi rileggere interiormente. Ragione per cui moltissime memorie rimangono superficiali. Finita una ne arriva un’altra, di altrettanta intensità o bellezza, ma nessuna viene mai contemplata in prospettiva. È una grave perdita, questa, perché la vera creatività nasce nella contemplazione che si abbevera alle sorgenti della memoria. La quale, a sua volta, è dotata di una straordinaria energia: il racconto di Frankl non fa altro che dimostrarne la portata. Tutta la liturgia ebraica, alla quale ha attinto quella cristiana, è fondata sul concetto di memoriale, perché la memoria non è una semplice cronologia, ma rivive nella vita di uomini e donne. L’Eucarestia è appunto il memoriale della passione, morte e risurrezione di Cristo, perché rivive ogni volta che quel gesto – di offerta prima ancora che di ritualità – è ripetuto in nome Suo.