Se si tratta di una gara letteraria, cerca di avere il secondo premio. Il primo, infatti, si assegna sempre al favore o alla condizione sociale che gode la persona; il secondo, invece, si ottiene solo per giusto merito.
È, questa, un'amara ma realistica considerazione fatta da quel trasognato personaggio che è don Chisciotte, il protagonista del celebre romanzo che Miguel de Cervantes elaborò tra il 1605 e
il 1615. Chi vale si vede spesso rigettato indietro perché si deve far strada al raccomandato. Il tema è, quindi, quello del "giusto merito" che ben raramente è riconosciuto (almeno in vita). Si tratta di una sorta di legge che ha offerto nella storia ampio spazio agli autori di morale per bollare un'ingiustizia palese ma quietamente accettata. Tanto per fare un esempio, ricorriamo alle Massime del francese La Rochefoucauld, spesso ospitato in questa rubrica, che nel Seicento scriveva: «Il mondo rende più spesso onore al falso merito di quanto sia ingiusto col merito vero».
Di fronte a questa verità storica si può reagire con la rassegnazione: c'è almeno un "secondo premio". Tuttavia spesso a chi vale non solo non è riservato alcun premio ma viene persino umiliato, sbeffeggiato, incompreso. Allora, più che la rassegnazione, è da ribadire una virtù necessaria, quella della costanza. E questo non solo perché il credente spera in un giudizio e in un riconoscimento trascendente, ma anche è necessario non far mancare alla società il proprio dono. C'è, quindi, una lotta da ingaggiare con l'incomprensione, l'ingiustizia, la corruzione, l'arroganza. Ed essa si compie col non "spegnere lo Spirito" che è nella persona dotata e ignorata.
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