Inizia a breve il vero Capodanno cristiano. Termina l'anno liturgico e, con la prima domenica d'Avvento, inizia quello nuovo. Un capodanno in sordina, senza botti e senza cenoni, eppure fondamentale per la vita di un credente. Pochi se ne rendono conto e, il brevissimo avvento della Chiesa romana, finisce inevitabilmente risucchiato dai preparativi per il Natale: regali, addobbi e, tra i più coraggiosi ormai, l'allestimento del Presepe. Così non ci si rende conto di questo nuovo inizio dove la Chiesa nella liturgia ci svela il senso della storia, che solo i Cristo, re e signore dell'Universo, sa interpretare. Le parole della liturgia che tanto informano la nostra vita, sono in tale dissonanza con le pretese del mondo post-contemporaneo che vien persino da ridere: che il cristiano (soprattutto se cattolico) se ne stia in sagrestia, che appenda i suoi cimeli in privato (crocifissi, Madonne e santi); che la smetta di portare la sua religiosità lungo le strade, processioni con o senza Santissimo. Soprattutto che non parli di politica, a meno che non dica cose universalmente accettate e sottolinei i valori riconosciuti dai più! Insomma non si parli più di diritto fondamentale alla vita, dal concepimento alla morte, non si tiri in ballo di nuovo l'ammuffito concetto di patria, di identità culturale: ormai siamo europei!
Pensavo tutto questo, a Messa, mentre leggevo la prima lettura tratta dal libro di Daniele. Il potentissimo Nabucodonosor, non dissimile dai nostri big del G8, ha una visione raccapricciante: una statua enorme, d'oro, d'argento, di bronzo, di ferro e di argilla, si staglia contro il cielo e domina su ogni cosa. Ma ecco che un timido sassolino staccatosi dalla montagna inizia a rotolare lungo il pendio e diventa di tali proporzioni che, precipitando sulla statua, la distrugge.
Il sasso, diventato enorme, è, fuor di metafora, il Regno di Cristo, timido, innocuo, ma capace di sovvertire qualunque potentato di questo mondo. Leggevo, dunque, ma dietro al testo si sollevava impertinente l'immagine di un dipinto di Magritte: il castello dei Pirenei. Magritte lo dipinge per l'amico Harry Torczyner, scampato al lager, e si lascia ispirare dai racconti di Edgar Allan Poe, tuttavia non posso fare a meno di collegare quest'opera alla visione di Daniele. Sembra proprio il sassolino diventato pietra dominante. Non rovina su una statua, ma sul mare, simbolo biblico del male e sulla sommità del sasso-roccia ecco un castello di pietra, incredibilmente saldo, certo della vittoria.
René Magritte, Il castello dei Pirenei, 1959. Olio su tela, 200×145 cm. Israel Museum, Gerusalemme
Vedo così il capodanno cristiano: l'Avvento è qualcosa di piccolo, come un sassolino, come il Bimbo divino verso il quale tende, eppure i secoli e le contrarietà lo hanno reso pietra eccelsa, portatrice di un Regno indistruttibile. Sì, caro e - in fondo - amato mondo laicista: siamo portatori fragili di un Regno eterno. Non ci sarà propaganda in grado di distruggerlo, perché poggia su una roccia la cui saldezza è fissa nell'eternità. Potete tranquillamente profetizzare il funerale della cristianità, si arricchirà di nuova energia. Potete confinarci quanto volete entro le nostre sagrestie, vi sorprenderà all'improvviso quella Chiesa in uscita di cui parla il Papa che sbaraglierà i nemici con la forza disarmante di un Bambino. Magritte dipinge, nello stesso periodo (1960), uno straordinario bicchiere da brindisi in dialogo con le nuvole. Voglio alzare idealmente al cielo questo bicchiere e invitare i credenti a brindare: c'è un Capodanno più vero di quello altisonante del 1 gennaio, il Capodanno della liturgia il quale ci ricorda che Cristo è venuto, ma anche viene e verrà. Un sassolino, forse per le nazioni, ma pietra fondamentale e durevole nel pensiero del Padre.