Un prete che appariva strano, ma per chi l'ha conosciuto indimenticabile. 1947: finita la guerra don Corrado Fioravanti, nato a Montorio Romano nell'aprile 1919, ha 28 anni, è stato partigiano, ha partecipato alla nascita della Dc, ha conosciuto De Gasperi e Andreotti, da poco è prete e a Roma cerca la sua strada. Monsignor Montini, allora in Segreteria di Stato, lo incoraggia a raccogliere i ragazzi orfani e figli di nessuno: Roma ne è piena. Lui comincia accanto al Tevere, in baracche di lamiera e legno, instancabile, ma presto si ammala di Tbc, ed è ricoverato al Santo Spirito, dalle parti di San Pietro. Fa freddo e i ragazzi sulle rive del fiume sono soli. La sua stanza all'ospedale è d'angolo, al primo piano, e sotto la finestra c'è – anche oggi – una fontana con una serie di lastre di travertino sporgenti, come una scala per arrampicarsi. Lui a sera apre la finestra e la stanza si riempie dei suoi ragazzi, anche una ventina: dormono al caldo e via all'alba, dalla stessa finestra. È l'inizio della sua vita avventurosa: tutto per gli altri, ma elettrico, inquieto, la lingua mai a freno, capace di parole dolci e invettive feroci contro i potenti e prepotenti, politici e ricconi, che in quegli anni iniziavano quello che fu detto saccheggio di Roma e dei suoi terreni per speculazioni e traffici. È allontanato da Roma per ordini superiori, nonostante la protezione di Montini, e va qualche tempo a Nomadelfia, accolto da un altro notissimo prete che inquieta i benpensanti, don Zeno Saltini: una coppia di preti, uguali e diversi, ma con la passione dell'accompagnamento degli ultimi, questi ultimi davvero… Resta qualche anno con don Zeno, e torna a Roma a fine anni 50, lo nominano “beneficiato” di San Giovanni in Laterano. Per qualche tempo resta, quasi canonico, a rischio di essere nominato monsignore, ma non resiste: non sopporta – e lo dice – certi ecclesiastici tutti sussiego e distacco dalla gente… Se ne va a Milano, bene accolto dall'amico ora cardinale Montini e negli anni mette su, sempre con i suoi ragazzi, anche una fabbrica di aceto e tante altre cose. Instancabile come sempre, indaffarato e anche trasandato a prima vista, inquieto sempre e capace di dar fastidio ai potenti ricordando loro che ci sono i piccoli, gli scartati… Fonda cooperative e case di accoglienza: pensa anche a drogati e ex carcerati. Montini ormai è lontano, e lui inventa attività per loro. Per caso il 12 dicembre 1969 è nel salone della Banca dell'Agricoltura, in piazza Fontana, per depositare i soldi della cooperativa dell'aceto, quando esplode la bomba che fa strage: lo salva una colonna, e con la veste a brandelli si trova ad assolvere i morenti… Le foto sono sui giornali… Non cambia più: tutta la vita con gli ultimi e in nome di Gesù di Nazaret, con peripezie molteplici: nonostante la salute in bilico – ha un rene solo, supera un infarto e un tentativo di omicidio – inventa fabbriche e cooperative a Pioltello e Cinisello Balsamo, fonda un movimento, “Fraternità” e alla fine una “Università del lavoro”, collabora per qualche tempo anche con le Leghe agli inizi, ma rompe presto con clamore polemico. Battaglie di carta e di sopravvivenza per i suoi poveri, sequestri di locali, multe e processi: sempre in prima fila, sempre sudato, sempre inquieto, sopportato da certi superiori, sfrattato ed anche emarginato, amatissimo da tanti, sensibile fino alle lacrime e ruvido fino alle invettive, dolcissimo e indisponente. Muore in ospedale dopo un'operazione disperata il 17 giugno 1998. Unico, forse, ma anche testimone di un amore di Dio che arriva ovunque, anche dove nessuno penserebbe: la fantasia di Cristo incarnata dai suoi, e in particolare dai preti. Riposa in pace, don Corrado, o anche in Paradiso farà lo sbarazzino? Se e quando ci andremo, lo scopriremo: si riconosce subito…
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