Si può voler diventare «il cuore pensante» di un lager nazista e scrivere come ultimo messaggio che «abbiamo lasciato il campo cantando»? Ancora, è possibile in situazioni al limite della sopravvivenza, anzi avendo come prospettiva la morte sicura, appuntare frasi come «sotto il cielo la vita è la stessa: in ogni luogo della terra si può vivere una vita piena di significato oppure morire» e «si può pregare dappertutto, in una baracca di legno come in un convento di pietra»? Bisogna possedere una forza interiore immensa e certo questo è stato il caso di Etty Hillesum, ebrea olandese morta ad Auschwitz dopo aver trascorso quasi due anni nel campo di smistamento di Westerbork, nei pressi di Assen in Olanda, che per oltre centomila suoi connazionali e correligionari diventò negli anni della seconda guerra mondiale «l'ultima fermata prima di Auschwitz» (di qui passò anche Edith Stein).
È a Westerbork che Etty chiede di essere assegnata, dopo aver fatto parte del Consiglio ebraico di Amsterdam, per poter condividere fino in fondo la sorte degli altri ebrei olandesi, che a partire dal 1942 vengono deportati dall'Olanda alla Polonia. Come documenta il suo Diario, che aveva cominciato a scrivere all'inizio del 1941 su consiglio dello psicoanalista Julius Spier. E come emerge anche dalle sue Lettere, da cui ho tratto i brani sopra riportati e che sono uscite in edizione integrale nel 2000 in Olanda e nel 2013 in Italia da Adelphi. Quei brani sono la testimonianza di una dedizione totale al suo popolo e all'umanità intera, il desiderio di mettere in pratica un «amore cosmico», quell'amore verso il prossimo di cui aveva intravisto il modello nell'Inno alla carità di san Paolo: «Assenza di odio non significa di per sé assenza d'un elementare sdegno morale. So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più facile e a buon mercato? Laggiù ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale. E credo anche, forse ingenuamente ma con ostinazione, che questa terra potrebbe ridiventare un po' più abitabile solo grazie all'amore di cui l'ebreo Paolo scrisse agli abitanti di Corinto».
Riflessioni ricavate dalla teologia ebraica e cristiana come dalla letteratura emergono dalle sue lettere il cui messaggio fondamentale si racchiude in due concetti: l'amore per tutta l'umanità e il rifiuto totale di ogni forma di odio. Etty si sente davvero responsabile di ogni persona costretta a passare nel campo di Westerbork e si dedica anima e corpo agli altri per alleviare il più possibile le loro sofferenze. Quando era ad Amsterdam avrebbe potuto mettersi in salvo o almeno cercare di farlo, ma preferì per sua scelta andare nel campo: «Da quando ho visto quel convoglio di gente catturata nei rastrellamenti non soffro più né fame né sonno né altro e mi sento benissimo, l'attenzione si concentra a tal punto sul prossimo che ci si dimentica di se stessi, e in realtà è meglio così».
Ma in questa sua immolazione radicale non c'è da vedere superbia o ingenuità. Etty è ben consapevole dell'enorme tragedia che sta colpendo il mondo intero e che trova negli ebrei il capro espiatorio: «Tutta l'Europa – si legge in una delle sue prime lettere – sta diventando pian piano un unico, grande campo di prigionia». E non esalta nemmeno la vita nel campo, anzi documenta le angustie dei prigionieri e la violenza messa in pratica dai tedeschi. Spesso parla di «assoluto inferno» e «totale catastrofe». Ma si ritiene investita di un compito superiore: «A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un frammento di amore e di bontà che bisognerà conquistare in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere». Alla base della sua posizione c'è al fondo uno slancio mistico, la continua interrogazione rivolta a Dio e alla sua sofferenza: per lei anche Dio ha bisogno di aiuto. «La vita è pur buona, non sarà colpa di Dio se a volte tutto va così storto, ma la colpa è nostra. Questa è la mia convinzione, anche se sarò spedita in Polonia con l'intera famiglia». Ed è quello che esattamente accadrà.
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