L'uomo non si accontenta di essere l'animale più stupido del creato; per di più si permette di essere l'unico ridicolo.
Devo a un articolo di Cesare Cavalleri, apparso proprio nel nostro giornale, la conoscenza di uno scrittore nato in Honduras nel 1921, vissuto in Guatemala e in Messico e morto lo scorso febbraio. Il suo nome era Augusto Monterroso e, dal poco che ho letto, sono rimasto conquistato non solo per la sua ironia sferzante e per la sua incisività ma anche per il profondo animo di moralista che è tipico dei veri scrittori umoristi. Ho scelto una battuta forte dal suo libro Il resto è silenzio (Sellerio 1992), un titolo shakespeariano. Questo aforisma, che lo scrittore mette in bocca a Eduardo Torres, ci permette una considerazione scontata ma pur sempre fruttuosa: non è mai sufficiente a nessuno la sorveglianza o l'autocritica o il controllo per non cadere nel ridicolo, condizione che è sempre in agguato ai bordi del nostro agire.
Alla radice di questo effetto devastante c'è una miscela esplosiva che spesso manipoliamo con allegria, convinti che essa non sia tra le nostre caratteristiche e, quindi, scambiandola per un altro prodotto: la superbia mescolata con la stupidità è irresistibile nel generare il ridicolo. Leopardi nei suoi Pensieri più pacatamente osservava che «le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono». Purtroppo la tentazione del pavoneggiarsi, alimentata dall'orgoglio ed esaltata dalla stoltezza, rende la persona così ingenua da esporsi agli esiti più patetici (commiserazione e irrisione s'intrecciano di fronte a simili atteggiamenti). Dobbiamo, allora, rinnovare ogni giorno il nostro piccolo arsenale di autocritica, di dominio di sé, di riflessione, consapevoli anche di un altro detto di Monterroso: «È certo che la carne è debole; ma non siamo ipocriti: lo spirito lo è molto di più».
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