sabato 13 giugno 2020
Non contiene numeri su risorse necessarie, coperture, effetti potenziali dei provvedimenti indicati. Non indica priorità, disegnando una sorta di Libro Bianco che racchiude un universo di proposte molto eterogenee per livello e impatto. E non è neanche così innovativo, essendo una "summa" di idee di policy (in gran parte) già presenti da anni nel dibattito pubblico. Nonostante questi elementi di debolezza, il Rapporto Colao rappresenta un punto di svolta. È infatti a mio avviso un tentativo prezioso di "managerializzare" la politica economica del nostro Paese: un "unicum" progettuale che rappresenta una risposta seria al pericoloso vuoto di elaborazione e di proposta di cui soffre da anni la politica italiana. La migliore conferma della sua utilità è proprio nel coro di critiche aperte e di malcelati mal di pancia, di raffinati distinguo e di basiche obiezioni di metodo che lo hanno accolto. Perché in realtà la solidità del lavoro di Vittorio Colao e del team di esperti da lui coordinato ha acceso un faro sul "re nudo": l'incapacità pluridecennale del sistema politico italiano di assumere decisioni strategiche, che offrano agli italiani una meta chiara e un percorso lineare per raggiungerla, il disinteresse verso le migliori esperienze internazionali, l'ancor più bassa capacità di execution di quanto viene deciso, il non-governo della macchina burocratica che oggi tutto può bloccare, e infine l'assoluta inutilità della politica degli annunci. In fondo la task force di Colao ha svolto adeguatamente il ruolo tipico di un "comitato di esperti": definire un menù ragionato di soluzioni tecniche all'interno del quale il Governo possa compiere scelte di natura politica. Ma, evidentemente, non sarà così. Molti esponenti di maggioranza hanno voluto "politicizzare" il lavoro, colti dalla sindrome del "re nudo" hanno considerato complessivamente ostile il documento. Ma si tratta di un approccio sbagliato, che di fronte a molte proposte di buon senso e a costo zero, rischia solo di far perdere altro tempo al Paese nella corsa globale alla ripartenza. «Pensavo che il Governo prendesse due o tre di queste cose, e invece il primo atto sono gli Stati Generali» ha chiosato saggiamente Romano Prodi. Lanciando un suggerimento che val la pena ascoltare: «Occorre qualche decisione che improvvisamente svegli l'opinione pubblica, la smuova... c'è bisogno di un messaggio forte». Volendo declinare il ragionamento, che sposo in pieno: servirebbero poche importanti decisioni capaci di "fare la differenza" rispetto al passato in termini di qualità del rapporto tra Stato e cittadino, di strategia fiscale per lo sviluppo, di giustizia ed equità sociale. Qualche esempio non casuale (di cui ho già ampiamente scritto): un rovesciamento del regime autorizzativo che liberi le energie degli italiani, sostituendo il modello dell'autorizzazione e del controllo preventivo con quello dell'autocertificazione e del controllo ex post, una riforma fiscale che abbassi le tasse sulla produzione e sul lavoro, una strategia di guerra all'evasione fiscale che punti su digitalizzazione e moneta elettronica. Rivestire il Re, in fondo, richiede solo il coraggio politico di fare delle scelte.
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@FFDelzio
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