Il pressing italiano per etichette chiare in Ue
domenica 7 giugno 2020
Sapere cosa si mangia. Non si tratta di uno sfizio da buongustai, ma di un diritto che, ancora oggi, non sempre è assicurato. È per questo che, al di là delle emergenze ricorrenti per l’agroalimentare, agricoltori e governo non hanno abbassato la guardia sul tema dell’etichettatura di origine. Perché, alla fine, l’informazione corretta si trasforma in uno strumento che può generare domanda e quindi crescita del giro d’affari che a sua volta produce occupazione e attenzione all’ambiente. A sottolineare l’importanza dell’etichettatura di origine è tornata pochi giorni fa anche Teresa Bellanova, ministra per le politiche agricole, che in un incontro con l’omologa tedesca Julia Klockner, che dal primo luglio prossimo assumerà la presidenza del Consiglio europeo dell’agricoltura, ha spiegato come «dichiarare in modo trasparente l’origine delle materie prime degli alimenti sia un diritto del consumatore. Né possiamo attendere il quarto trimestre del 2022, termine indicato dalla Commissione, per una legislazione europea in materia». Già, perché ancora una volta l’Europa pare prendere tempo. Mentre l’Italia non vuole aspettare. Per questo Bellanova ha chiesto «maggiore coraggio e scelte ravvicinate sui prodotti per i quali sono state già condotte sperimentazioni nazionali, come latte, carni trasformate, formaggi, pasta, riso, derivati del pomodoro». Etichette chiare, dunque, come da anni chiedono i coltivatori, senza cedere a tentazioni semplificatorie o, ancor peggio, fuorvianti come l’etichettatura “a semaforo”. A trarre vantaggio da una misura di questo genere, d’altra parte, sarebbero proprio tutte quelle agricolture che hanno fatto della qualità e della salubrità delle loro produzioni il vero punto di forza. Qualità e salubrità che, insieme ad una corretta comunicazione, sono capaci di generare affari miliardari. Basta pensare che, per quanto concerne la vasta filiera agroalimentare italiana, gli ultimi calcoli parlano di un valore di 538 miliardi di euro e una occupazione pari a 3,8 milioni di persone. Ricchezza davvero a tutto campo, quindi, che deve essere però tutelata non solo dalla concorrenza sleale ma anche dalle sue stesse condizioni di produzione. È cronaca di queste ore, tanto per comprendere, quanto sta accadendo in alcune aree dello Stivale agricolo tra grandinate, trombe d’aria e inondazioni. Eventi che devono far capire quanto sia fragile questo comparto che, solo in termini di valore esportato, vale comunque ben 44 miliardi di euro.
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