Via di San Gregorio Armeno è un'erta stretta e dritta che, da via dei Tribunali, quasi precipita a Spaccanapoli. Uno stretto passaggio dove è Natale tutto l'anno, con le sue botteghe straripanti di presepi, addobbi e statuine che la fasciano a destra e a sinistra senza soluzione di continuità. Un posto unico al mondo, senza uguali, dove guardando quei piccoli e grandi capolavori tra arte e tradizione, ironia e fantasia, diventa immediatamente palpabile come il presepe non sia semplicemente un decoro natalizio, ma faccia realmente parte della fede e della cultura non solo di Napoli, ma di tutta l'Italia, come Giovanni Paolo II ripeté ancora il 12 dicembre del 2004, in uno degli ultimi Angelus in cui fu in grado di parlare.
Cinque anni più tardi, nella stessa occasione – la tradizionale benedizione dei “bambinelli” in piazza San Pietro – Benedetto XVI volle sottolineare che «non basta ripetere un gesto tradizionale, per quanto importante. Bisogna cercare di vivere nella realtà di tutti i giorni quello che il presepe rappresenta, cioè l'amore di Cristo, la sua umiltà, la sua povertà... il presepio è una scuola di vita, dove possiamo imparare il segreto della vera gioia. Questa non consiste nell'avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene. Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e soprattutto sono certi che nella loro storia è all'opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù. E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di povertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere... il “segno” del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini “che egli ama”».
Tutti concetti che, proprio un anno fa, Papa Francesco ha ripreso e sviluppato nella bellissima Lettera apostolica Admirabile signum, sul significato e valore del presepe. Dove, in conclusione, Bergoglio ricorda che «il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall'infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l'amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli».
Questo Natale ormai quasi alle porte, questo Natale barricato a causa di una pandemia che non smette di assediarci, sarà diverso da tutti gli altri. Molte famiglie non si potranno riunire, non si potranno vedere gli amici, niente tombolate, niente o quasi niente di tutto. Un Natale difficile, visto quasi in tono minore, con la tentazione di cedere all'idea che sarà alla fine un non-natale. E perché, e per chi, allora, perdere tempo in addobbi e presepi? La risposta ce l'hanno già data i successori di Pietro: per continuare a educarci a contemplare Gesù. Del quale non commemoriamo la nascita, ma che ogni 25 dicembre nasce nelle nostre case, nei nostri cuori. Facciamogli trovare un posto.
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