Ascolto certe bellissime parole del cantautore piemontese Gianmaria Testa, scomparso un anno fa: «Avrei voluto baciarti con la forza del vento» dice a un concerto, tra una canzone e l'altra «e gridarti "ti amo". E invece con voce bassa ti ho salutato, come si saluta il panettiere».
«Tanto amore, segreto,?inconfessato» (Liù in Turandot).
Non detti e non vissuti in cui forse c'è il più dell'amore. Desideri mai esauditi il cui ricordo, alla fine dei giorni, spesso si fa più vivido e bruciante, e chiede di essere condiviso. Perché non si perda del tutto la memoria di ciò che non è mai stato se non dentro di noi. E forse proprio per questo è stato tanto, e vuole vivere.
Il «panettiere» di Gianmaria Testa è accolto da un applauso scrosciante. Tutte e tutti nel pubblico sanno di che cosa sta parlando. È così raro che si rompa il segreto. Ogni centimetro quadrato di pelle viene minuziosamente scandagliato, ma su quello che conta si dice così poco. Un vigoroso tabù sulla rinuncia e sulla mancanza, ovvero l'umano per definizione. E tanto chiasso, invece, per quello che sei riuscito ad agguantare.
In un primo maggio quasi invernale mi rivedo in streaming «Quel che resta del giorno». Mi domando se davvero avrei voluto che il maggiordomo Mr Stevens rompesse il suo virile riserbo. Se davvero quello che avrebbe potuto essere sarebbe stato meglio di ciò che è stato.
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