Basta un istante perché la storia di uno diventi la storia di tutti. Una distrazione, una frenata meno tempestiva del dovuto, un peccato che a rigore sarebbe da ritenere veniale. Ma per quell'errore – per quell'istante – un uomo muore, con lui muoiono le sue bambine. Il mondo si ferma e, dopo essersi fermato, non sarà mai più come prima. A fare la differenza è quella che, con una formula un po' sussiegosa, potrebbe essere definita quantité négligeable: 21 grammi, che cosa sarà mai? Il peso dell'anima, secondo un vecchio studio scientifico compiuto attraverso la misurazione dei corpi un attimo prima e un attimo dopo la morte. La differenza, una volta di più, sta in un battito di ciglia.
"Il peso dell'anima" è infatti il sottotitolo con cui è stato distribuito in Italia 21 grammi, uno dei film che meglio rappresenta il clima particolarissimo che il cinema ha attraversato nel passaggio di millennio, esercitando sulla realtà uno sguardo di fortissima e a volte contraddittoria spiritualità. È un film corale, come vedremo tra poco, ed è un film cosmopolita, girato negli Stati Uniti da un regista messicano, Alejandro González Iñárritu, in collaborazione con il suo sceneggiatore di fiducia, messicano a sua volta: lo scrittore (e successivamente regista) Guillermo Arriaga. Non c'è un vero protagonista in 21 grammi, perché questa è, appunto, la storia di tutti. Amare e perdere chi si ama, desiderare la vita e affrontare la morte: non è questo, in fondo, il destino che ci accomuna e che ci rende umani? E cercare la salvezza, certo. Pregare perché la salvezza si compia. Invocare il miracolo di un'altra risurrezione.
In 21 grammi il credente, interpretato da Benicio del Toro, si chiama Jack e per trovare la fede è dovuto finire in prigione. Il passato se lo porta tatuato addosso tutto intero, come il personaggio di un racconto di Flannery O'Connor, La schiena di Parker. Da reietto che era, ora si sente un eletto e l'automobile che ha vinto alla lotteria gli sembra un altro segno della benevolenza celeste. Jack non può sapere che, al contrario, proprio quel fuoristrada sarà l'inizio del dramma suo e di Cristina, la donna la cui famiglia sta per essere annientata (l'attrice Naomi Watts, che come Del Toro ricevette un Oscar per questo film). Ma c'è un terzo punto di vista, oltre a quello della vittima e del suo involontario carnefice: appartiene al cardiopatico Paul – impersonato da Sean Penn – che un trapianto ormai insperato restituisce alla vita. Ma dentro di sé Paul intuisce che quell'esistenza è strappata a qualcun altro e sente crescere un'inquietudine che lo allontana sempre più da Mary (Charlotte Gainsbourg), la compagna che lo ha assistito durante la malattia.
Il mosaico si compone con precisione inesorabile davanti agli occhi dello spettatore, a dispetto della continua sovrapposizione di piani temporali diversi che Iñárritu governa con una maestria sempre animata dalla compassione. Paul vuole sapere da dove proviene il cuore che adesso batte in lui. Trova Cristina, si innamora del suo dolore, lo assume su di sé accettandone anche il lato oscuro, che è il desiderio di vendetta. Ma punire il colpevole è impossibile, perché nel frattempo Jack è diventato il primo persecutore di se stesso, talmente inflessibile da strapparsi dalla carne la croce alla quale si era consegnato in precedenza. Tragedia contemporanea, attraversata da un sentimento dell'ineluttabile che ci appare tanto più sconvolgente quanto più è radicato nella nostra quotidianità (l'appartamento di Paul, la bella casa borghese di Cristina, il motel in cui Jack tenta invano di nascondersi), 21 grammi è il racconto di un mistero: la storia di tutti, nella quale ciascuno può riconoscersi.
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